Il 13 novembre 1988, Alexander Dubcek, ricevette la laurea ad honoris causa in Scienze politiche dall’Università di Bologna in occasione del IX centenario di nascita dell’Ateneo. Nei giorni seguenti il Comune di Bologna conferì allo stesso la cittadinanza onoraria.
Il busto di Dubček a Bologna, a villa Hercolani
Queste onorificenze rappresentarono la definitiva riabilitazione a livello internazionale del politico statista che rappresentò la Primavera di Praga nel 1968.
Alexander Dubček, agli occhi del mondo occidentale, ha sempre rappresentato la figura simbolo del sogno di riforma e democratizzazione del socialismo. Questo sogno fu brutalmente represso dall’invasione delle truppe del patto di Varsavia il 20 agosto 1968.
Spesso Dubček viene associato alla figura di Michail Gorbaciov, il premier sovietico che nella seconda metà degli anni 80 cercò tramite la perestrojka e la glasnost di riformare il sistema sovietico. In effetti Dubček ha espresso in varie interviste di allora la simpatia per il leader sovietico, rivedendo vari punti riformisti di cui si era fatto promotore un ventennio prima.
Come per Gorbaciov, tuttavia, l’immagine trasmessa dal leader Alexander Dubček verso i paesi c.d. occidentali, non ha un riscontro del tutto paritetico nella politica interna del paese di appartenenza, dove ancora oggi viene criticato per alcuni passaggi politici conseguenti all’invasione sovietica del 1968.
Questa critica, associata alla lontananza dalla politica attiva di oltre un ventennio, portarono ad escludere fin da subito la figura di Alexander Dubcek come presidente della neonata democratica Cecoslovacchia nel 1989, a scapito di Václav Havel – figura non collusa al precedente regime.
Václav Havel e Alexander Dubček
Ciò nonostante, comunque Dubček venne designato dal 1990 a capo del Parlamento Confederale, di fatto ricoprendo la seconda carica più importante a livello istituzionale fino al 1992, l’anno in cui morì a seguito di un incidente stradale sull’autostrada D1.
Di seguito proviamo ad analizzare alcune definizioni ed aspetti della figura politica di Alexander Dubček che talvolta capita di ascoltare ancora oggi.
Dubček – un vero comunista
Nato nel 1921 a Uhrovec, vicino alla città di Trenčin, nell’attuale Slovacchia, Alexander Dubcek, nei primissimi anni della propria vita seguì i propri genitori, di fede dichiarata comunista, in Unione Sovietica fino al 1938. Durante il secondo conflitto mondiale partecipò ai combattimenti e fu ferito in modo non grave.
Nel dopoguerra, divenne membro del partito Comunista Cecoslovacco e iniziò la propria carriera politica, studiando anche per un certo periodo a Mosca, fino a divenire il presidente del partito comunista cecoslovacco nel gennaio 1968 a sostituire l´uscente Antonin Novotný, visto come un conservatore anacronistico.
Presumibilmente l’idea di riforma del sistema è maturata in Dubček negli anni, avendo constatato come certi periodi storici sovietici fossero stati molto bui e poco vicini alle esigenze della gente. Per questo motivo, fu fermamente convinto nell´introdurre le riforme per cercare di realizzare il “socialismo dal volto umano”.
Il successo delle riformo introdotte molto rapidamente nei primi mesi del ´68 non fu solo di Dubček, ma dell’ala riformista dei comunisti cecoslovacchi che gradualmente presero il potere sostituendo i precedenti membri conservatori. Non si può tuttavia dimenticare, che tra gli stessi riformisti, vi furono anche persone che dopo l’invasione dell’agosto del 68, rinnegarono le riforme per riportare il paese alla normalità. Tra questi, il più celebre fu il futuro presidente del partito nonché´ presidente Cecoslovacco Gustav Husák, definito non a caso come un comunista pragmatico.
Alexander Dubček non ha mai rinnegato la sua fede politica comunista/socialista e dopo la rivoluzione di velluto del 1989, entrò a far parte del partito socialdemocratico.
2. Dubček – un ingenuo sognatore
Nella valutazione obbiettiva di questo personaggio, occorre tenere conto del fatto che la sua carriera politica ebbe origine nel secondo dopoguerra, negli anni in cui i comunisti presero il potere con metodi assai poco democratici, e consolidarono la propria posizione con epurazioni importanti dei possibili oppositori, nonché anche al proprio interno.
Dubček trovò spazio per fare carriera, e naturalmente affermarsi anche contro avversari politici di partito, avendo la meglio -non ultimo il menzionato segretario del partito comunista cecoslovacco uscente Novotny (nonché´ presidente cecoslovacco), che nei mesi successivi venne addirittura espulso dal partito.
Sempre con il sorriso sulle labbra, non conflittuale, amato dalla gente, Dubcek rappresentava agli occhi degli elettori del partito il giusto compromesso tra riformisti e conservatori. In realtà, da solo avrebbe potuto ben poco. Il suo avvento al potere all’interno del partito era accompagnato da vari riformisti, che prevalsero sull’ala conservatrice del partito ed avviarono importanti riforme.
In effetti, i riformisti proposero al comitato centrale del partito nell’aprile del 68 un manifesto politico che si basava su alcuni pilastri riformisti che proponevano
una propria strada al socialismo
maggiore potere agli organi statali
la libertà di parola
la riforma economica
la federalizzazione della Cecoslovacchia
Questo manifesto fu approvato e nelle settimane a seguire vi fu un forte fermento. Di fatto si introdusse la libertà di parola, si andò a revisionare la politica di partito degli anni Cinquanta evidenziando i gravi errori, si permise la nascita di organizzazioni politiche che sostavano la democrazia e la aggregazione tra le persone.
Forse Dubček fu ingenuo nel ritenere che Mosca e gli alleati del patto di Varsavia non intervenissero a seguito delle riforme introdotte. Nel corso del 68 vi furono diversi incontri e riunioni tra le parti, dove Dubček venne ripreso e invitato a ripristinare lo stato delle cose secondo le aspettative di Leonid Breznev e degli altri alleati. Non fu solo l’Unione Sovietica ad essere preoccupata di questo nuovo decorso, ma anche i paesi del patto di Varsavia – specie quelli limitrofi – che temevano che questo riformismo potesse prendere piede anche nei loro Stati.
Furono dati vari segnali a Dubček che la pazienza stava per terminare, non ultimo durante lo storico incontro dei primi di agosto del 68 a Čierna nad Tisou.
Avendo avviato le riforme, Dubček e tutti i riformisti si potrebbero essere trovati nella situazione di non avere idea di come annullare le concessioni democratiche. Probabilmente, loro stessi furono sorpresi dalla rapidità di intervento delle armate sovietiche e dei paesi del patto.
Con il senno del poi, furono ingenui nel non comprendere che l’invasione della Cecoslovacchia si stava preparando già da diversi mesi. Questo aspetto fu dimostrato dalla massiccia capacità di intervento e dall’immediata occupazione dei centri di potere da parte dei militari sovietici.
3. Dubček – un politico debole
Questa affermazione nasce certamente dalla situazione politica successiva all’invasione sovietica dell’agosto del 68, ed alle posizioni che Dubček ha assunto in determinate situazioni.
L’intelligenza politica di Mosca fu quella di non liquidare la figura di Dubček immediatamente, ma di lasciarlo comunque attivo in politica per un ulteriore anno, costringendolo ad attuare le misure di ripristino del regime, che poi portarono al successivo periodo denominato della “normalizzazione”.
Dubček, fino all’estate del 68 era al top delle preferenze politiche non solo di partito, ma del popolo cecoslovacco. Oltre ad introdurre delle riforme democratiche, si presentava al pubblico con il proprio sorriso e gli occhi socchiusi che sembravano sorridere. Si presentava “umano”, molto distante dagli uomini di partito a cui si era abituati. Questa sua immagine, di uomo del popolo, che amava incontrare la gente, era entrata nel cuore dei cecoslovacchi e non solo. Anche i media occidentali avevano notato questo personaggio.
Un primo piano di Alexander Dubček
Una rapida eliminazione di Dubček avrebbe potuto avere conseguenze rischiose creando ulteriori tensioni, e l’URSS si sarebbe trovata a dover affrontare critiche internazionali ancora più pesanti di quelle che già si trovava a fronteggiare. In vari momenti Mosca fece capire che era poco propensa a spargimenti di sangue oltre a quelli che già stavano avvenendo.
La capitolazione politica di Dubček é certamente da far risalire ad un anno dalla invasione dei carri armati, quando nell’agosto del 1969 sottoscrisse quello che ancora oggi è conosciuto come “Pendrekový zákon”, ossia la legge federale di alcuni provvedimenti transitori per la tutela dell´ordine pubblico, che di fatto fu la legge che consentì di imprigionare migliaia di manifestanti, di espellerli dalle attività lavorative, o dalle scuole e di limitare le organizzazioni civili.
Dubček stesso, in varie occasioni, anche a distanza di anni, ha reputato questo gesto come un errore politico imperdonabile e del quale ha sempre espresso un vivo rammarico.
Nei mesi precedenti, tuttavia, aveva dovuto assistere all’uscita indotta di molte figure chiave della Primavera di Praga, alcuni riformisti si dimisero volontariamente ed emigrarono, altri furono oggetto di una politica denigratoria volta a screditarli. Il Governo fu costretto a sottoscrivere un accordo di soggiorno temporaneo dei militari sovietici sul territorio cecoslovacco. Per le strade le proteste furono gradualmente sedate, spesso con violenza. La polizia segreta stava riprendendo forza e reintroducendo metodi totalitari nel controllo delle persone. A fine gennaio del 69, il mondo intero fu scosso dal gesto di un giovane studente universitario, Jan Palach, che si tolse la vita immolandosi. L’intera drammatica aggressione che stava opprimendo la Cecoslovacchia era racchiusa in quel drammatico gesto.
In questo contesto, Dubček, ricopriva ancora un ruolo politico attivo, pur senza particolari ambizioni, ma che logorava la sua popolarità. In fondo, non si era mai apertamente schierato contro l’invasore.
Potrebbe averlo fatto per senso di responsabilità, per evitare una guerra civile e ulteriori morti. Tuttavia, agli occhi della gente, emergeva la sua debolezza.
4. Dubček – il ventennio dell’oblio ed il ritorno
Il 24 settembre 1969 il direttivo del partito comunista decise la revoca di Dubček dalla funzione di presidente della assemblea federale e la nomina ad ambasciatore in Turchia, nomina poi ratificata a dicembre dello stesso anno dallo stesso presidente. Ad Ankara rimase solo un anno, per poi rientrare in patria, essere espulso dal partito comunista cecoslovacco ed infine essere riposto in funzioni secondarie di carattere regionale dove volutamente fu emarginato dalla vita sociale e politica (Nel 1970-1985 Dubček ha lavorato per le Foreste di Stato della Slovacchia occidentale a Bratislava Krasňany).
Pur rappresentando sempre un potenziale rischio, i servizi segreti Stb probabilmente non ebbero problemi nella gestione di Alexander Dubček in quanto non divenne mai apertamente un dissidente.
Il suo ritorno alla politica attiva risale al novembre del 1989, ai primi giorni della rivoluzione di velluto, dove fu acclamato dai manifestanti e invitato dallo stesso Havel. Tuttavia, come già detto in apertura, la candidatura a presidente dello stato cecoslovacco venne rapidamente esclusa a priori, ma gli fu assegnata la presidenza dell’assemblea federale della neonata democrazia, vista l’immagine pulita e molto apprezzata in Occidente. Questo incarico lo coprì fino alla morte, avvenuta nel settembre del 1992 a seguito di un incidente automobilistico sull’autostrada D1 tra Praga e Brno.
A seguito della dissoluzione dell´Impero Austro Ungarico alla conclusione della prima guerra mondiale, nel 1918 nacque la Repubblica Cecoslovacca, comprendente le regioni della Boemia, Moravia, Slesia Cechia, Slovacchia e Rutenia (in ceco „Podkarpatská rus“).
Si coronò il sogno di autonomia maturato nel corso del secolo precedente e la personalità maggiormente di spicco di questi anni fu certamente il primo presidente, Tomáš Garrigue Masaryk.
Nel 1918, la neonata Repubblica Cecoslovacca, si trovò tuttavia a gestire varie situazioni problematiche, non definite a priori sulla carta e sulle quali si aprirono varie discussioni in campo internazionale che perdurarono anche nel 1919.
Le nuovo frontiere furono contestate sia nelle provincie a maggioranza tedesca prevalentemente localizzate ai confini con la Germania e l’Austria – proteste portate avanti fino alla primavera del 1919 e che costarono la vita a decine di manifestanti – che nella zona denominata Slesia e della zona di Těšín, rivendicate dai polacchi. Anche la Slovacchia, nella parte meridionale, dovette fare i conti con una situazione di guerra con l’Ungheria, ed una etnia magiara importante presente sul proprio territorio.
Progressivamente, queste situazioni di tensione trovarono una pausa politica dopo la firma degli accordi di pace di Versailles nel 1919.
Tuttavia, le rivendicazioni nazionalistiche autonomiste continuarono sospinte anche dal clima internazionale che si delineò in Europa nel primo dopoguerra.
Per capire la multietnicità della Cecoslovacchia, nel 1930 la popolazione pari a 14,7 milioni di persone, era suddivisa come segue
Cechi e slovacchi 9,689 milioni
Tedeschi 3,232 milioni
Ruteni 549 mila
Ungheresi 692 mila
Ebrei 187 mila
Polacchi 82 mila
Altre etnie 50 mila
LE POPOLAZIONI GERMANICHE PRESENTI SUL TERRITORIO CECOSLOVACCO
Occorre premettere che le popolazioni di etnica germanica si iniziarono ad insediare nella zona dei Sudeti fin dal XIV secolo. A livello geografico, per Sudeti si intende la zona dell’altopiano che si trova nella Boemia settentrionale, e la divide dal Bassopiano Germanico. In realtà, nel linguaggio corrente, con il termine di Sudeti si considera tutta la zona a maggioranza germanica che si trova sul territorio Boemo e della Slesia al confine con la attuale Germania, la Polonia e l’Austria.
Presenza germanica nel territorio Ceco – Fonte wikipedia
I rapporti tra la popolazione boema e tedesca furono problematici fin dai decenni antecedenti la prima guerra mondiale, nonostante vari tentativi di trovare una soluzione ragionevole da parte dell’Impero Austro Ungarico, piuttosto liberale nel cercare di introdurre nel parlamento viennese i rappresentanti politici eletti nelle zone di etnia differente eletti democraticamente. Per una piena comprensione della tematica autonomista, dobbiamo tenere presente che nel secolo XIX le spinte nazionalistiche portarono alla nascita anche di nuovi stati (si pensi all’Italia, ad esempio), e di fatto crearono le basi per una guerra mondiale che ebbe anche come effetto la deflagrazione dell Impero Austro Ungarico che esisteva da quattro secoli.
La Cecoslovacchia, nel 1918, nacque effettivamente sulle ceneri dell’Impero Austro Ungarico, e sulla aspettativa delle nazioni vittoriose di punire le nazioni perdenti, in particolare quelle a lingua germanica. Pertanto, accanto ai debiti di guerra, volutamente si divisero le popolazioni di lingua tedesca in vari stati, al fine di impedire la nascita di un forte stato germanico, e limitiare una potenziale minaccia futura per tutte le nazioni europee.
La convivenza tra boemi e tedeschi, già problematica prima della guerra, divenne gradualmente insopportabile, spinta dalla politica nazionalsocialista della vicina Germania che ebbe inizio negli anni 20 del secolo scorso e che ispirarono vari politici di allora.
Negli anni 30, le zone dei Sudeti videro in particolare la vittoria elettorale di due partiti nazionalisti, che nel 1933 confluirono nel Sudetendeutsche Partei, apertamente schierato a partire dal 1937 accanto al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, meglio conosciuto come Partito Nazista o Nazionalsocialista, guidato da Adolf Hitler.
Le pretese autonomiste dei tedeschi presenti nei Sudeti crebbero sempre più, con la crescente forza del partito nazionalsocialista di A. Hitler. Il leader del Sudetendeutsche Partei, Kondrad Henlein, nel 1938 arrivò a pretendere la assoluta autonomia dei territori dei Sudeti presentando tale proposta unilaterale al governo cecoslovacco. Tale richiesta fu rigettata, ma rappresentò il pretesto per la successiva annessione alla Germania nell’autunno dello stesso anno.
In effetti, il 12 settembre 1938 Hitler prese pubblicamente posizione in favore delle rivendicazioni di Henlein e ruppe ogni trattativa con il governo cecoslovacco. In Europa si cercò di raggiungere una soluzione politica a questa crisi sforzandosi di evitare un nuovo conflitto bellico. L’allora capo di governo britannico, Chamberlain, propose una conferenza dei capi di governo britannico, francese, tedesco e italiano, riunitasi poi a Monaco di Baviera, nella quale si acconsentì all’annessione della zona dei Sudeti alla Germania nazionalsocialista (da notare che a questa conferenza non furono invitati i rappresentanti politici cecoslovacchi).
L’accordo di Monaco viene ricordato ancora oggi come un tradimento da parte delle principali nazioni europee alla Cecoslovacchia. L’illusione di evitare un conflitto – che come sappiamo scoppió comunque nel giro di qulache mese – rese la Germania ancora piú forte militarmente e territorialmente. D’altra parte, l’opinione pubblica occidentale non desiderava una seconda guerra, e di questo i politici coinvolti dovettero tenerne conto (questo tipo di politica volta ad ottenere un accordo a tutti i costi, venne denominata appeasement e principalmente riguardó la Gran Bretagna).
Dal punto di vista strategico, l’annessione di questi territori era cruciale per la politica di Adolf Hitler in un’ottica di espansione territoriale che mirava a conquistare i territori slavi, possibilmente senza iniziare alcun conflitto con altre nazioni europee. La Cecoslovacchia, considerata vicina alla Gran Bretagna e soprattutto alla Francia, si trovava in effetti in una posizione strategica che avrebbe potuto indebolire la Germania. Con il senno del poi, la scelta di abbandono degli alleati rappresentó un errore geopolitico.
Sempre con il pretesto di proteggere le minoranze etniche tedesche, nel marzo 1939, Hitler completò il piano di smantellamento della Cecoslovacchia, occupando Praga, e creando il Protettorato Boemo e Moravo direttamente sotto la propria egemonia, mentre nella regione Slovacca fu instaurato un Governo fantoccio filotedesco. Il presidente cecoslovacco in carica, Edvard Beneš, lasció il paese per Londra e poi per gli Stati Uniti.
Accanto ai motivi geopolitici e militari, la Germania ebbe anche un interesse economico ad annettere rapidamente questi territori: la raccolta di manodopera a basso costo – i giovani slavi furono costretti ad andare a lavorare nelle fabbriche tedesche – e presa del possesso da parte del Terzo Reich di materie prime e fabbriche con tecnologia all’avanguardia sul territorio cecoslovacco indispensabili per armare ulteriormente la Germania. Ricordiamo che negli anni 30 la Cecoslovacchia era uno dei paesi all´avanguardia in Europa.
L’atteggiamento dei tedeschi nei confronti delle minoranze boeme non fu clemente: vi furono diversi arresti, molte persone furono costrette ad emigrare, ed in generale si sviluppò un clima di forte intolleranza nella zona dei Sudeti e della Boemia che continuò durante la seconda Guerra mondiale.
Questo duro atteggiamento, si rivoltò contro le etnie tedesche al termine della Seconda Guerra mondiale, facendole ritenere collaborazioniste del regime nazista e creando le premesse per l’esodo imposto negli anni successivi.
Si stima che 2,8 milioni di tedeschi, nel periodo dal 1945 al 1946, furono costretti ad abbandonare i territori della Boemia e della Moravia, rinunciando ad ogni avere.
Questa migrazione di massa vide anche diversi episodi violenti e di giustizia sommaria, che furono oggetto di una amnistia post conflitto e di fatto restarono impuniti. 1,6 milioni di tedeschi furono trasferiti nella Germania sotto il controllo americano, circa 800 mila tedeschi vennero destinati alla Germania sotto il controllo sovietico, ulteriori decine di migliaia lasciarono i territori della Slesia, ed altre migliaia di persone vennero internate nei campi di lavoro.
Strettamente legati a questa annosa questione, vengono spesso citati i decreti del presidente Beneš, ossia quei decreti presidenziali emanati nel periodo 1945-1947, che tra le altre cose sancirono la confisca dei beni e l’espulsione dei tedeschi dalla zona dei Sudeti. I decreti riguardarono anche l’espulsione della minoranza magiara presente nella regione slovacca.
Nel 1950, la popolazione della Cecoslovacchia scese a 8,896 milioni di abitanti (sia per l’esodo della popolazione tedesca, sia perché i territori Ruteni ad Est che furono annessi all’URSS), suddivisa nelle seguenti etnie:
Cechi e slovacchi 8,6 milioni
Tedeschi 160 mila
Ungheresi 13 mila
Polacchi 71 mila
Ucraini, Ruteni 19 mila
Altre etnie 31 mila
Un rapido confronto con i dati del 1930 presentati in precedenza, evidenzia gli effetti della Seconda Guerra Mondiale e degli esodi conseguenti.
Ancora oggi si aprono talvolta discussioni sul merito dei decreti di Beneš e su quanto avvenuto negli anni dopoguerra, a conferma del fatto che le ferite di una guerra riguardano anche le generazioni future. Il neoeletto presidente Václav Havel effettuò il primo viaggio in Germania nel febbraio 1990, e pubblicamente ammise l’ingiustizia di quanto accaduto nel secondo dopoguerra, creando le basi per un riavvicinamento tra i popoli.
Veder sparire quasi tutti i risparmi familiari di una vita in una sola notte, ritrovarsi a maneggiare nuovi tagli di denaro dal giorno successivo senza alcuna preparazione, non poter protestare nelle strade per questa ingiustizia… anche questo accadde nel dopoguerra cecoslovacco.
Scenari quasi impossibili da immaginare oggi, eppure accaddero davvero e la popolazione dovette adeguarsi per sopravvivere, forse memore dello grande spirito di adattamento avuto durante l’occupazione nazista.
Siamo nella Cecoslovacchia socialista nel pieno della crisi del dopoguerra, dopo che nel 1948 il regime comunista ha preso il sopravvento sui partiti democratici. Nel primo quinquennio della programmazione economica di partito si puntò molto all’industria pesante, tuttavia, l’economia stentava a ripartire e la popolazione aveva forti carenze di beni di prima necessità. Esisteva ancora un razionamento alimentare, continuavano ad essere utilizzate le carte annonarie, il mercato nero era molto diffuso con prezzi decisamente più elevati rispetto a quelli ufficiali, risultando di fatto fuori controllo.
Il debito statale era crescente, non solo per i debiti di guerra che continuavano a sussistere, ma anche per la notevole spesa pubblica che si stava sostenendo per la conversione dell’economia dal sistema capitalistico a quello socialista.
Nel maggio del 1953 si iniziarono a diffondere notizie su una possibile riforma monetaria che avrebbe portato a logorare i risparmi dei cittadini.
Per questo motivo, diversi negozi furono presi d´assalto con lunghe code, nel tentativo di spendere il „vecchio“ denaro, che a breve si sarebbe potuto svalutare.
Nemmeno l’intervento del presidente cecoslovacco Zapotocky, che assicurò la pubblica opinione che non sarebbe accaduto nulla pochi giorni della riforma, servì per placare gli animi. Le persone erano molto diffidenti, ed effettivamente non sbagliarono.
Il 30 maggio 1953, il Governo annunciò senza alcun preavviso l’introduzione della riforma monetaria a partire dal giorno successivo. Lo fece alle ore 17, dopo che i negozi, banche ed uffici erano già stati chiusi.
Retribuzioni, pensioni e prezzi furono ridotti d’ufficio nel rapporto 5 a 1 (ossia per 5 vecchie corone cecoslovacche, si otteneva una corona cecoslovacca nuova). La liquidità fino a 300 corone (lo stipendio medio si aggirava attorno alle 1.100 corone, giusto per avere idea del parametro) si poté cambiare secondo il rapporto 5 a 1, oltre questo ammontare, il rapporto passava per gradi fino ad arrivare al massimo di 50 a 1.
Sempre al cambio 50:1 fu destinato il denaro delle persone giuridiche che eccedeva le ultime retribuzioni saldate. Parimenti, furono di fatto annullati tutti i debiti di Stato ed altri strumenti finanziari emessi a partire dal 1945. I risparmi, le assicurazioni previdenziali e similari, furono cancellati definitivamente.
In macro-numeri, la liquidità totale disponibile sul mercato, fu mediamente cambiato secondo il rapporto 37:1. Il cambio della corona cecoslovacca fu ancorato al rublo russo, ritenuto molto più stabile.
La riforma monetaria fu presentata come una „vittoria del popolo lavoratore “, agli occhi di gran parte della pubblica opinione apparve tuttavia come un grande furto.
Il regime sancì il supporto delle milizie per mantenere l’ordine pubblico. Le proteste popolari furono prontamente stroncate con l’interventismo tipico delle forze di polizia. Pur essendoci un disaccordo diffuso, poche persone lo manifestarono apertamente. Prontamente furono imprigionate e malmenate.
Per effetto di questa riforma monetaria non annunciata e discussa in precedenza, il Fondo Monetario Internazionale arrivò ad espellere la Cecoslovacchia.
Questo fu l’ultimo passaggio che fece sparire definitivamente la borghesia imprenditrice, la fascia media tipica dei paesi capitalistici. L’intera nazione di fatto si impoverì, diverse fonti parlano di bancarotta dello Stato cecoslovacco.
Per riassumere quanto già scritto in precedenza tra le righe, la riforma monetaria del 1953 fu un passaggio indispensabile per portare l’economia ad un sistema socialista. I motivi principali furono:
Necessità di controllare la quantità di denaro sul mercato, per bloccare le spinte inflattive ed il mercato nero che aveva preso il sopravvento anche negli anni del dopoguerra. In generale, la paura degli economi comunisti, era che la gente utilizzasse i risparmi per acquistare i beni, anche di prima necessità, creando poi un grave problema sociale se tale merce, già scarseggiante, ad un tratto fosse sparita dal mercato.
Necessità di ridurre il debito statale. Una nota: non furono annullati i debiti internazionali, che comunque restavano in valuta, ma furono annullati i debiti interni.
Necessità di annientare definitivamente la media borghesia, che dal punto di vista politico rappresentava una spina nel fianco, viste le simpatie verso i sistemi capitalistici.
I risultati attesi furono raggiunti in maniera limitata.
il mercato nero – pur non essendo debellato del tutto – perse di importanza, tuttavia, la riforma monetaria non cancellò un innalzamento dei prezzi che continuò anche negli anni successivi, in particolare sui beni di prima necessità (in proporzione, si riusciva ad acquistare meno prodotto a parità di retribuzione confrontando gli anni antecedenti il 1953 e quelli successivi).
Il debito statale fu cancellato a discapito dei risparmiatori nazionali, tuttavia, da un punto di vista internazionale, la Cecoslovacchia perse di credibilità, spostandola sempre più sotto il baricentro sovietico.
La media borghesia imprenditoriale fu effettivamente debellata, oppure costretta a migrare, dall’altra parte, alcune figure di partito seppero approfittare di questa situazione per arricchirsi, e quindi creare le basi per l’oligarchia tipica dei regimi dittatoriali.
I politici comunisti si resero tuttavia conto che non potevano puntare solo su un’economia pesante ed industriale, ma dovevano spostare la produzione anche sui beni di consumo e soprattutto sui beni di prima necessità, per avere un sufficiente sostegno popolare. I piani quinquennali programmatici successivi non poterono fare a meno di tenere presente questi importanti aspetti.
Tra le 234 vittime del regime comunista condannate alla pena di morte tra il 1948 ed il 1960, non si può non citare Milada Horáková, il simbolo di questa resistenza.
Milada Horákova fu una giurista e politica cecoslovacca, nata a Praga nel 1901, e giustiziata con la pena di morte nel 1950. Negli anni, anche a seguito della riabilitazione avvenuta nel 1990, divenne il simbolo della lotta ai soprusi ed alle ingiustizie dei regimi dittatoriali, nonostante le notevoli sofferenze fisiche e psicologiche che dovette affrontare nella sua vita.
Poco più che ventenne aderì al Partito socialista nazionale cecoslovacco, divenendo attivista nel campo dei diritti civili e dei diritti delle donne.
A seguito dell’occupazione del 1939, Milada divenne uno dei membri principali del movimento clandestino contrario alla occupazione tedesca. Imprigionata nel 1940 dalla Gestapo, venne dapprima condannata a morte, pena poi trasformata in ergastolo, e fu prigioniera in diverse carceri tedesche.
Terminata la guerra, riprese il suo importante ruolo politico nel 1945 occupandosi dell’assistenza ai rifugiati, ma nel 1948 si dimise dal parlamento a seguito della presa di potere del governo comunista, supportando le forze di opposizione e gli esilianti. Nel 1949 venne imprigionata dai servizi segreti e nel 1950 – dopo un processo farsa – fu condannata a morte per impiccagione.
A nulla valsero gli appelli internazionali anche di persone importanti per evitare la condanna di Milada Horakova che venne giustiziata il 27 giugno 1950.
In seguito, il 27 giugno venne designato dai cechi come Giornata della Memoria delle vittime del comunismo.
Il presidente Havel, nel 1990, le conferì in memoriam il più elevato grado di onorificenza, il titolo di primo grado dell´ordine di T.Garyk Masaryk.
Solo dopo la caduta del regime, nel 1990, vennero rese note le ultime lettere dal carcere di Milada alla famiglia, che oltre al saluto ai cari e amati famigliari, dimostrano la fermezza nei principi e la serenità nell’affrontare il suo triste destino, consapevole della sua coscienza cristallina.
“Sono umile e devota alla volontà di Dio. Ha ordinato questa prova per me, e io la supero con un desiderio: che io possa obbedire alle leggi di Dio e mantenere il mio nome con onore.
Non piangete! Non sospirate troppo! È meglio che una lenta morte. Il mio cuore non durerebbe a lungo senza libertà.
Gli uccelli si stanno già svegliando. Sta cominciando ad albeggiare. Andate nei prati e nei boschi. Vivete! Vivete!
Andate nel bosco di pini, guardate il bello e saremo insieme ovunque. Guardate le persone intorno a voi. Mi ritrovate in ognuno. Non sono disperata e impotente. Non sto giocando. È tutto così calmo in me perché ho pace nella mia coscienza.
Da qualche tempo mi ero ripromesso di studiare meglio la questione della privatizzazione delle imprese appartenenti allo Stato, che avvenne in Cecoslovacchia, poi solo in Repubblica Ceca, negli anni ´90, sia perché spesso avevo percepito da varie fonti che si fosse trattato di un grande raggiro che ha arricchito poche persone, sia perché non mi ero mai soffermato a fondo sui motivi che avevano portato a questo processo economico.
Definizione della kuponova privatizace
Punto di partenza, come spesso accade, è Wikipedia: la Kuponová privatizace (ovvero privatizzazione tramite cedole) rappresenta un metodo di privatizzazione in base al quale i cittadini di uno stato hanno la possibilità di acquistare a prezzi molto bassi, a volte anche gratuiti, dei libretti di voucher, tramite i quali sono poi possibile acquisire la proprietà di quote in imprese statali designate alla privatizzazione.
Il contesto politico, sociale ed economico dopo il 1989
I rapidi eventi che portarono alla dissoluzione del blocco sovietico non consentirono un graduale passaggio dall´economia a conduzione centralizzata statale a un’economia privata, e questo fu il principale problema dei politici coinvolti. Non esisteva una classe di cittadini con una capacità economica sufficiente a potersi misurare in un ambiente internazionale concorrenziale, le persone avevano mediamente scarse attitudini imprenditoriali, dall´altra parte lo Stato non era più in grado di farsi carico della programmazione economica del paese, era necessario ricorrere a stratagemmi anche radicali, volti alla privatizzazione delle imprese di Stato, stando attenti, dove possibile, di non svendere l´intero patrimonio a imprese straniere. Questi, i timori principali dei politici ed economi del periodo. Con il senno del poi, furono timori fondati, e come risaputo, in diversi casi, le strategie di privatizzazione, portarono al risultato opposto rispetto a quello atteso.
Le ondate di privatizzazione tramite cupon
Le basi per procedere a questa forma di privatizzazione, furono due nuove
normativa varate giá nel 1990: la legge sulle società per azioni e fondi num.
104/1990 e la legge sulle attività imprenditoriali libere dei cittadini, legge
n. 104/1990 (zákon o akciových společnostech a fondech (IPF) č. 104/1990
Sb. a zákon o soukromém podnikání občanů č. 104/1990 Sb).
La Kuponova privatizace fu concepita in Cecoslovacchia – e poi in seguito solo in Repubblica Ceca a dopo la scissione del 1993 della Repubblica Slovacca – da un gruppo di politici ed economi provenienti dall´Istituto di prognosi ČSAV, governato dal Ministero della Scienza. I principali fautori di questa procedura di privatizzazione furono Dušan Tříska, Tomáš Ježek e Václav Klaus. Specie l´ultima figura, è da considerarsi uno dei principali politici che abbia governato nel ventennio successivo alla Rivoluzione di Velluto, ricoprendo il ruolo di Ministro delle Finanze, di Premier e di capo del partito ODS, divenendo anche Presidente della Repubblica per due mandati fino al 2013.
La prima ondata di privatizzazioni di questo tipo risale al 1992,
nell´allora Cecoslovacchia stato federale, tramite la vendita dei libretti
voucher, prezzo minimo d’investimento 1.000 corone ceche. Parteciparono
complessivamente 8,5 milioni di cittadini cecoslovacchi e furono privatizzate
2.352 società, di cui 487 in Slovacchia. I voucher offerti rappresentavano 450
milioni di azioni, del valore di 1.000 corone cecoslovacche ciascuna. A questa
prima collocazione, parteciparono 265 fondi privati di investimento cechi e 164
slovacchi.
Nel 1994, partì la seconda ondata di privatizzazioni per coupon, che
interessò solo la Repubblica Ceca. Furono organizzati sei turni dal mese di
marzo fino a dicembre cui aderirono 6,2 milioni di cittadini cechi. I fondi
privati d’investimento che si presentarono furono ben 349.
Ogni cittadino adulto poteva acquistare un libretto di cupon del
valore 35 corone ceche ed un bollo da
1.000 corone. Il libretto di cupon comprendeva 10 voucher da 100 punti. In questo
modo, si diventava titolari di queste cedole d’investimento che potevano essere
utilizzate per l´acquisto delle azioni nei vari turni, ai prezzi stabiliti
dallo Stato.
Fu consentita l´entrata nella procedura di privatizzazione ai fondi d’investimento
dal secondo turno, con un meccanismo di partecipazione particolare: se la
domanda non superava l´offerta, allora le azioni venivano effettivamente
trasferite ai nuovi acquirenti, se la domanda superava l´offerta, allora le
azioni non venivano trasferite a nessuno degli offerenti, e venivano in
automatico spostate al turno successivo. Qualora fossero restate azioni alla
fine dei turni stabiliti, queste sarebbero state fatte passare (e, di fatto, lo
furono) a favore del Fondo dei beni nazionali (Fond národního majetku).
Furono comunque collocazioni di successo, nella prima ondata, il 7,2% delle
azioni offerte non fu collocata, nella seconda, il 3,7%.
Trovarono ampio spazio, come si può intuire dai numeri sopra riportai, i
fondi d’investimento privati, tra cui è spesso menzionato l´Hardvarský
investiční fond che prometteva lauti guadagni agli investitori e consentì al
discusso imprenditore Viktor Kožený, il controllo di oltre 50 aziende
privatizzate dal valore di decine di miliardi di corone.
Scavando nella storia dei miliardari cechi – tra cui anche il ceco più ricco secondo le statistiche Forbes, Petr Kellner, accanto alla figura di imprenditori di successo come Radovan Vítek e Pavel Tykač – si può facilmente capire che la loro ricchezza deriva in gran parte da queste operazioni di privatizzazione tramite cupon, che consentirono l´accumulo d’ingenti ricchezze in tempi rapidi.
Le critiche a questo sistema
E´ opinione diffusa, che i meccanismi legali di protezione previsti dalla normativa di allora, furono insufficienti e portarono a vari raggiri e frodi, fino ad arrivare addirittura al c.d. tunelovani, ossia lo svuotamento sistematico delle aziende per poi privarle di tutti i beni portanti. Si cita spesso la frase “krádež století”, che tradotta letteralmente vuol dire “furto del secolo”. Una delle principali critiche considera che nell´allora sistema giuridico, non si prevedeva la tutela degli azionisti di minoranza, per cui in svariati casi, molti azionisti si ritrovarono in mano con azioni che valevano in pratica zero poiché le imprese cui partecipavano, erano state completamente depredate.
La grande e la piccola privatizzazione
La privatizzazione tramite questo sistema di cupon, che rientra nella c.d.
“velká privatizace” – grande privatizzazione – interessa solo una parte delle
imprese statali.
Sempre nell´ambito della grande privatizzazione, rientrarono anche le
vendite dirette a soggetti prescelti e interessati (procedura che interessò le
aziende più performanti e concorrenziali sul mercato), le offerte pubbliche e
la trasformazione delle imprese in società per azioni, per poi successiva
collocazione.
Risale al 1991, e termina nel 1993, il primo procedimento di
privatizzazione tramite aste, dove furono collocate 24 mila piccole attività, denominata
“malá privatizace” – piccola privatizzazione, che interessò principalmente le
attività legate ai servizi.
L´altro sistema utilizzato per privatizzare fu possibile tramite le c.d. restituzioni e la normativa correlata varata nel 1991: le restituzioni d’imprese e immobili ai legittimi proprietari o successori delle persone che nel dopoguerra si videro espropriare in virtù della nazionalizzazione imposta dal regime. Ancora oggi, sono di attualità le restituzioni alla Chiesa cattolica, per le quali la normativa fu varata solo nel 2012.
Capita spesso di sentire delle frasi, oppure dei post o degli articoli, che lasciano intendere che la Rivoluzione di Velluto Cecoslovacca, che ebbe inizio il 17.11.1989 e portò alla democratizzazione di un regime fino ad allora totalitario, fu frutto di una cospirazione programmata, di un complotto.
Quest’articolo ha lo scopo di riepilogare queste teorie, per quanto possibile di valutarne il fondamento minimo, ma soprattutto di dimostrare come queste teorie abbiano lo scopo di sminuire l´importanza di un evento storico che portò alla libertà di un popolo e pertanto sono decisamente quello che con i termini moderni di oggi viene definito come fake news.
Teoria cospiratoria 1 – Rivoluzione programmata a tavolino– La rivoluzione di velluto, viene definita di velluto in quanto non arrivò a scontri mortali, a carneficine e successivamente non ebbero luogo tribunali inquisitori volti a giudicare i membri dell´uscente apparato comunista. Proprio per questo motivo – recitano alcune teorie cospiratorie – è la dimostrazione che fu tutto programmato a tavolino.
Risposta alla teoria cospiratoria n. 1 – In realtá, la rivoluzione ha inizio con uno scontro molto violento nella via Narodni Třída di Praga, tra gli studenti e le forze dell´ordine che per l´occasione presentano anche milizie speciali appositamente addestrate. Il corteo studentesco fu circondato e gradualmente stretto nella morsa nella via chiusa. Fu solo fortuna che non vi furono morti o feriti gravi. Il sussegurisi degli eventi nei gironi successivi, ad iniziare dagli scioperi generali ed alle manifestazioni di piazza, cosí come le rapide dimissioni tra i membri politici e di partito, dimostrano che gli eventi non erano programmati a tavolino, ma furono il frutto di graduali accordi presi tra il Governo comunista ed i politici emergenti rientranti nel partito Občanský forům. Negli eventi di quel periodo, che interessarono anche gli altri paesi del Patto di Varsavia, fu decisivo il fatto che l´Unione Sovietica non fosse in grado di intervenire, evitando situazioni che si erano giàverificate in precedenza nel 1956 (Ungheria), 1968 (Cecoslovacchia) e negli anni 80 in Polonia.
Teoria cospiratoria n. 2 – teoria di Miroslav Dolejš – il passaggio del regime fu programmato con largo anticipo, e gestito da alcuni figli di comunisti che hanno potuto studiare all´estero, dagli ebrei e da alcuni massoni. Vaclav Havel non fu che un burattino e Charta 77 non fu che una prima programmazione nell´intento di arrivare alla rivoluzione pilotata.
Risposta alla teoria cospiratoria n. 2 – Anche in questo caso, questa teoria non ha alcun fondamento.
Gli stessi gerarchi di partito furono sorpresi dagli eventi e dalla rapida caduta del regime. Certamente, era del tutto naturale che le persone istruite seppero approfittare delle opportunitá che la nuova situazione offriva, tuttavia, sostenere che vi fosse una cospirazione programmata a priori, é veramente poco improbabile. Come in tutte le situazioni, anche in altre parti del mondo, le cospirazioni sono frutto degli ebrei, considerati avidi e spregiudicati, e dai massoni. Gli ebrei, nella Cecoslovacchia comunista non ebbero vita facile e non é immaginabile che organizzassero la cospirazione a priori. La massoneria durante il periodo nazista prima, e poi quello comunista, non é potuta esistere in Cecoslovacchia, pertanto, non esisteva pressoché alcun punto di riferimento che potesse capeggiare queste trame.
E´ indubbio, infine, che coloro che hanno sottoscritto il documento Charta 77, siano stati oggetto di ritorsioni politiche e controlli degli organi di sorveglianza della polizia segreta, al punto che alcuni esponenti furono anche imprigionati ed altri emigrarono clandestinamente. Sostenere che Charta 77 rientrasse tra gli strumenti programmati per arrivare alla caduta del regime stesso, é un misero tentativo di sminuire il gesto eroico dei segnatari. Parimenti, la figura di Vaclav Havel, non fu una figura di burattino, ma rappresentò la persona scelta dal popolo e non da possibili cospiratori.
Teoria cospiratoria n. 3 – i servizi segreti cecoslovacchi (STB) organizzarono il cambio di regime, con il benestare della CIA americana.
Risposta alla teoria cospiratoria n. 3 – i servizi segreti cecoslovacchi (STB) furono sorpresi dal rapido susseguirsi degli eventi, al punto che é risaputo che molti documenti ritenuti compromettenti furono fatti sparire nel mese di dicembre 1989 e nei primi mesi del 90. Se avessero organizzato questo cambio di regime, avrebbero gestito la cosa molto piú tranquillamente, ed i documenti che sarebbero spariti sarebbero stati probabilmente molti di piú e soprattutto scelti per celare i nomi dei collaboratori – nomi che invece furono costretti a rendere pubblici negli anni a seguire e che tuttora sono accessibili.
Per quanto riguarda la CIA, la Cecoslovacchia é sempre stata un paese di confine e pertanto ancora oggi ritenuto strategico dai servizi segreti americani – e non solo – ma é altamente improbabile che potesse esistere una collaborazione con i servizi segreti cecoslovacchi su questo tema.
Teoria cospiratoria n. 4 – i servizi segreti cecoslovacchi (STB) manipolarono la manifestazione del 17 novembre 1989 volutamente, per creare scontri ed avviare rapidamente un passaggio del regime.
Risposta alla teoria cospiratoria n. 4 – non vi é alcun dubbio che i servizi segreti cecoslovacchi avessero delle persone infiltrate nella manifestazione organizzata dagli studenti in occasione dei cinquanta anni dalla morte dello studente Opletal per opera del regime nazista. Giá negli anni precedenti, i servizi segreti infiltravano persone nei movimenti studenteschi di protesta. Tuttavia, questi infiltrati avevano prevalentemente il compito di osservare ed individuare i nemici di partito da arrestare o segnalare. Resta un dato di fatto, inoltre, che questa manifestazione vide una partecipazione massiccia inaspettata, anche da parte degli stessi organi di polizia.
Teoria cospiratoria n. 5 – Dopo la manifestazione del 17 novembre 1989 la stampa nazionale ed internazionale diede risalto alla morte di uno studente, di nome Martin Šmid, che sarebbe rimasto ucciso durante gli scontri. La notizia nei giorni successivi si riveló infondata, ma fu dato risalto a questa fake news per condizionare la pubblica opinione.
Risposta alla teoria cospiratoria n. 5 – nelle ore successive agli scontri sulla via Narodní, si diffuse effettivamente la notizia della possibile morte di Martin Šmid, studente della facoltá di Matematica alla Karlova Univerzita di Praga. Sarebbe stata la portinaia dello studentato di Praga Troja, la signora Drahomira Dražská a diffondere questa notizia. Una persona effettivamente restó a terra dopo gli scontri, ma in seguito si scoprí che si trattava di un infiltrato dei servizi segreti STB il tenente Ludvík Zifčák, con nome operativo Martin Ruzicka, che rimase a terra svenuto per alcuni minuti a seguito di una botta alla testa e poi venne caricato in ambulanza. Varie speculazioni, nei mesi successivi, lasciavano intedere che il tenente Zifčák abbia finto lo svenimento appositamente, ma si sono poi dimostrate infondate anche per testimonianza delle persone coinvolte.
Per gran parte dei cittadini cecoslovacchi, la giornata del 17.11.1989 non si caratterizzava per peculiarità diverse rispetto ai consueti venerdì: ci si apprestava al week end autunnale, alle spese correnti per la famiglia, al viaggio per andare alla chata e fare i lavori in giardino antecedenti l´inverno. Il tempo quel giorno era tipicamente autunnale, temperatura poco sopra lo zero durante il giorno, cielo plumbeo. Nell´aria c´era l´odore del carbone, la fonte primaria per il riscaldamento. Quanto inquinamento nell´aria, era visibile agli occhi di tutti un graduale
degrado della situazione ambientale negli anni ottanta: non era possibile non scorgere le chiazze di olio e sporcizia sul fiume Vltava (Moldava, n.d.r.).Certamente, gli avvenimenti degli ultimi mesi, dove si era diffusa la notizia di aperture di confini in Ungheria, e soprattutto le vicende di pochi giorni prima di Berlino (al 9 novembre si fa risalire la caduta del muro), stimolavano vari pensieri nelle menti delle persone. Era anche risaputo che il movimento avviato da Gorbaciov, la perestrojka, per riammodernare l´URSS, stava dando risultati scadenti e i russi si erano certamente impoveriti, mancando addirittura beni di prima necessità.Come in tutti gli eventi storici, durante un certo periodo di cambiamento, non sempre si colgono immediatamente le conseguenze di certe situazioni, e le correlazioni, che solo in seguito, a mente fredda, si riescono a ristabilire spesso trovando un filo comune.Le notizie che tuttavia arrivarono dai media occidentali e dal passaparola, fecero capire la portata degli incidenti che avvennero nella via Narodni nelle ore serali di quel 17 novembre. Inizialmente non era chiaro se c´erano state delle vittime, ma certamente fu chiaro che le forze di polizia speciali attuarono una violenta repressione della manifestazione degli studenti
che aveva la sola finalità di ricordare gli studenti trucidati e le repressioni avviate dal regime nazista cinquanta anni prima. In quella piazza c´erano solo dei ragazzi, senza armi, per quale motivo si attuo una repressione brutale?Nelle ore a seguire, il silenzio imbarazzante dei media di stato, le condanne burocratiche piene di paroloni di regime e l´inizio, nei giorni successivi, degli scioperi a cui seguirono le manifestazioni, l´arrivo di Havel.
Questa fu la prima notizia ufficiale degli eventi del 17 novembre, che fu trasmessa solo il giorno 24.11:
L´aria autunnale stava arrivando per ribaltare certi dogmi che parevano intoccabili, il cittadino normale assistette a questi eventi, facendosi trascinare dall´entusiasmo, ma anche continuando il suo quotidiano, fatto di lavoro, di preoccupazioni per la famiglia, di una birra tra amici – attori felici di un vento nuovo, ma saldamente con i piedi per terra per non perdersi in inutili illusioni e attese.
In fondo, il sarcasmo e la disillusione ceca, avevano consentito di preservare l´identità nazionale anche nei momenti più bui.L´organizzazione della manifestazione del 17.11.1989 venne fatta tramite un volantino i cui contenuti sono riportati in questa immagine dal tiolo “prendete con voi un fiore ed una candela!”
La fonetica di questa parola di origine slava, non appare delle piú piacevoli. I samizdat furono scritti di “edizione propria”, come dice la parola stessa, e rappresentarono una vera e propria spina nel fianco dei regimi totalitari ed un modo per diffondere tra le persone gli scritti di natura politica, letteraria e poetica soggetti a potenziale censura e divieto di diffusione.
VZDOR – divieto esplicito di fare ulteriori copie scrivendo a mano
In Repubblica Ceca, i samizdat furono raccolti a migliaia successivamente alla Rivoluzione di Velluto del 1989. Nacquero varie organizzazioni dedicate al tema in questione, tra questi é da menzionare certamente la libreria Libri Prohibiti che tuttora promuove attivamente il ricordo di questo movimento che alla base aveva la libertá di espressione e di opinione. La raccolta comprende migliaia di scritti, foto e video. I samizdat ricoprono anche un ruolo importante negli archivi storici statali.
Il classico samizdat scritto a macchina
Si trattava di produzioni autonome, spesso scritte tramite una macchina da scrivere utilizzando la carta carbone, dove non era presente la censura, e venivano diffusi in ambienti amici, in quanto il rischio di essere colti in flagrante non era da trascurare. Soprattutto, l´efficiente sistema di spie che il regime poliziesco aveva, era alla costante ricerca di individuare i fautori di ideali contrari.
Lo scritto artigianale, prodotto in poche copie in casa, rappresenta il classico samizdat. Tuttavia, non furono poche le stamperie che in via illegale ed abusiva, stampavano scritti di varia natura ed addirittura riuscivano a coordinarsi con editori esteri che pubblicavano in contemporanea gli scritti nel mondo occidentale.
I samizdat potevano avere anche la forma di un rivista periodica. La testata giornalistica odierna denominata Lidové Noviny fu pubblicata per la prima volta ancora nel 1988, e nel primo numero fu presentato un articolo di Vaclav Havel, drammaturgo perseguitato dal regime che poi divenne presidente della Cecoslovacchia. La prima tiratura fu di 350 copie. Altre riviste importanti in Cecoslovacchia furono Kritický sborník, Revolver Revue, Střední Evropa, Vokno, Pražské komunikace. Indubbiamo, la pubblicazione di Charta 77, rappresento un importante impulso alla diffusione dei samizdat, anche se questa non rientra in questa categoria di scritti (in quanto fu sottoscritta da molte personalitá e volutamente resa pubblica).
Rientravano nei samizdat anche i testi delle canzoni (le canzoni di Karel Kryl e di altri cantautori censurati), le opere letterarie vietate (1984 di Orwell ad esempio), i libri pubblicati dai dissidenti emigrati (Bohumil Hrabal, Milan Kundera, Vaculik, Seifert), le opere e gli scritti di persone perseguitate ed incarcerate dal regime (Václav Havel). Anche gli scritti di natura religiosa potevano essere oggetto di una diffusione clandestina.
Václav Havel, drammaturgo e dissidente, viene nominato presidente della Cecoslovacchia sul finire del 1989, in piena rivoluzione di velluto.
Di seguito, la traduzione del primo discorso del presidente, trasmesso dalle reti televisive e radiofoniche il 1.1.1990.
Intriso di spiritualitá, di sentimenti positivi e speranze, ancora oggi rappresenta un messaggio per le generazioni non solo ceche, ma di tutto il mondo, su come dovrebbe essere la politica e sui valori a cui forse si dovrebbe puntare per un un mondo migliore.
“Cari concittadini,
Per quarant´anni in questa giornata avete udito dalle bocche dei miei predecessori, sotto varie forme, la stessa cosa: come la nostra nazione fiorisce, quanti altri milioni di tonnellate di acciaio abbiamo prodotto, come siamo tutti felici, come crediamo nel nostro governo e quali belle prospettive si aprono davanti a noi.
Presuppongo che non mi abbiate proposto a questa funzione affinché anche io vi mentissi.
La nostra nazione non fiorisce. Il grande potenziale creativo e spirituale dei nostri popoli non é sfruttato in modo significativo. Interi settori industrali producono oggetti di cui non vi é interesse, mentre non otteniamo ció di cu abbiamo bisogno. Lo Stato, che si fa chiamare lo Stato degli operai, umilia e sfrutta gli operai. La nostra economia obsoleta spreca la poca energia che abbiamo a disposizione. La nazione, che una volta poteva essere orgogliosa dell´istruzione del proprio popolo, destina alla formazione cosí poco, che oggi occupa il novantesimo posto al mondo. Abbiamo rovinato la terra, i fiumi e le foreste, l´ereditá dei nostri predecessori, ed abbiamo oggi il peggior ambiente in tutta Europa. Le persone adulte da noi muoiono prima, rispetto alla maggioranza dei paesi europei.
Permettetemi una piccola esperienza personale: mentre recentemente volavo a Bratislava, ho trovato il tempo durante i vari impegni, per osservare dal finestrino. Ho visto il complesso di Slovnaft e subito dopo il grande quartiere cittadino di Petržalka. Quella visione mi é bastata per farmi capire che i nostri statisti e politici per decenni non hanno guardato o non hanno voluto guardare dai finestrini dei loro aeroplani.Nessuna lettura delle statistiche che ho a mia disposizione mi permetterebbe di capire più facilmente e rapidamente la situazione dove siamo arrivati.
Ma tutto questo, non é ancora il tema principale. La cosa peggiore e´ che viviamo in un ambiente morale marcio. Moralmente ci siamo ammalati, perche´ ci siamo abituati a dire qualcosa, ed a pensare diversamente. Abbiamo imparato a non credere a nulla, ad ignorare gli altri, a prendere cura solo di noi stessi. Termini come l’amore, l’amicizia, la compassione, l’umiltà e il perdono hanno perso la loro profondità e dimensione, e per molti di noi significano solo alcune peculiarità psicologiche, oppure si configurano come dimenticati saluti del lontano passato, piuttosto ridicoli nell´epoca dei computer e dei missili cosmici. Solo pochi di noi sono stati in grado di alzare la voce, che i potenti non dovrebbero essere onnipotenti e che le fattorie speciali, che per loro coltivano prodotti di qualitá ed ecologici, dovrebbero inviare i propri prodotti nelle scuole, negli orfanotrofi e negli ospedali, visto che da noi l´agricoltura, per il momento non puo´ offrire questo a tutti. Il regime esistente – armato della sua orgogliosa e intollerante ideologia – ha umiliato l´uomo a forza produttiva e la natura a strumento produttivo. In questo modo ha attaccato la loro stessa origine e le loro relazioni reciproche. Delle talentuose e capaci persone, geniali imprenditori della propria nazione, ha fatto delle viti di una macraba, opulenta, rumorosa e puzzolente macchina, di cui nessuno sa quale sia il senso. Macchina che non riesce a fare altro che lentamente ma inesorabilmente autoconsumarsi ed a consumare tutte le proprie viti.
Parlando di un ambiente morale marcio, non parlo solo riferendomi ai signori che mangiano prodotti agricoli ecologicamente puliti e non guardano dai finestrini degli aerei. Parlo di noi tutti. Tutti ci siamo infatti abituati al sistema totalitario e lo abbiamo accettato come un fatto immodificabile ed in questo modo lo abbiamo mantenuto. In altre parole, tutti siamo – anche se chiaramente ognuno in modo diverso – responsabili dell´andamento della macchina totalitaria, nessuno di noi é solo vittima, ma tutti siamo contemporaneamente i corresponsabili.
Per quale motivo parlo di questo: non sarebbe molto saggio capire la triste ereditá degli ultimi quaranta anni, come qualcosa di sconosciuto, che ci ha lasciato un lontano parente. Viceversa, dobbiamo accettare questa ereditá come qualcosa che abbiamo commesso su noi stessi. Se lo accettiamo in questo modo, capiamo che é il compito di tutti noi farne qualcosa. Non possiamo dare la colpa di tutto ai precedenti governanti, non solo perche´ non corrisponderebbe alla veritá, ma anche perche´ potrebbe indebolire il dovere che oggi spetta ad ognuno di noi, il dovere di agire in modo autonomo, libero, ragionevole e rapido. Non sbagliamoci: il miglior governo, il miglior parlamento ed il miglior presidente, da soli non possono fare molto. E sarebbe profondamente ingiusto attendersi un rimedio generale solo da loro. La libertá e la democrazia implica la compartecipazione e pertanto corresponsabilitá di tutti.
Se ne siamo consapevoli, immediatamente tutti gli orrori che la nuova democrazia cecoslovacca ha ereditato, cessano di essere orrori. Se ne siamo consapevoli, allora nei nostri cuori torna la speranza.
Per porre rimedio alle cose generali, abbiamo dove affidarci. Gli ultimi tempi – e soprattutto le ultime sei settimane della nostra rivoluzione pacifica – hanno dimostrato quanta carica personale, morale e spirtuale ha il genere umano, e quanto la cultura civica sonnecchiava nella nostra società sotto la forzata maschera dell´apatia. Ogni volta che qualcuno categoricamente ha affermato che siamo stati questi o quelli, ho sempre obiettato che la società è una creatura molto misteriosa e che non è mai bene credere solo alla facciata che mostra. Sono contento di non essermi sbagliato. Ovunque nel mondo la gente si domanda in che modo, in quei deformati, umiliati, scettici e apparentemente non credenti a nulla, cittadini della Cecoslovacchia, ha preso bruscamente potere l´incredibile forza che in poche settimane ha portato in modo abbastanza decente e pacifico a scrollarsi di dosso e lasciarsi alle spalle il suo sistema totalitario. Noi stessi siamo sorpresi. E ci chiediamo: da dove i giovani che non hanno mai conosciuto altri sistemi, traggono il loro desiderio di verità, il loro amore del libero pensiero, la loro immaginazione politica, il loro coraggio civico e la saggezza civile? Come mai i loro genitori – esattamente la generazione che era considerata perduta – si sono uniti a loro? Com’è possibile che così tante persone abbiano capito immediatamente cosa fare, e nessuno di loro ha bisogno di consigli o istruzioni?
Penso che questa facciata piena di speranze della nostra odierna situazione abbia due principi: l´uomo prima di tutto non é mai solo un prodotto del mondo esterno, ma ha sempre la capacitá di elevarsi a qualcosa di superiore, anche se questa capacitá sia stata sistematicamente distrutta nel mondo esterno; ed in secondo luogo, i principi umanistici e democratici tradizionali, dei quali si e´spesso parlato, alla fine, nonostante tutto, nel subconscio del nostro popolo e delle minoranze nazionali dormivano ed in modo non apparente si trasferivano di generazione in generazione, in modo che nel momento opportuno ognuno di noi li ha trovati in sé stesso e li ha trasformati in azione.
Tuttavia, anche noi abbiamo dovuto pagare per l´odierna libertá. Molti dei nostri cittadini morirono nelle prigioni negli anni ’50, molti furono giustiziati, migliaia di vite umane sono state distrutte, centinaia di migliaia di persone di talento sono state espulse all’estero. I perseguitati furono quelli che durante la guerra salvarono l’onore delle nostre nazioni, quelli che resistettero al governo totalitario e quelli che riuscirono semplicemente ad essere se stessi ed a pensare liberamene. Non si dovrebbe dimenticare nessuna delle persone che abbia in qualche modo pagato per l´odierna libertá. I tribunali indipendenti dovrebbero valutare correttamente la possibile colpa di coloro che furono responsabili e rendere vera la verità completa sul nostro recente passato.
Non dovremmo inoltre dimenticare, che altre nazioni hanno pagato l´odierna libertá in modo ancora piú duro, e tramite questo hanno in qualche maniera pagato anche indirettamente per noi. Laghi di sangue che sono abbiamo visto scorrere in Ungheria, Polonia, Germania e recentemente in modo terrificante in Romania, cosí come i mari di sangue che hanno versato i popoli dell´Unione Sovietica, non devono essere dimenticati, prima di tutto perché ogni sofferenza umana riguarda ogni essere umano. Ma non solo questo: non si deve dimenticare perché questi grandi sacrifici sono il tragico sfondo della libertà di oggi oltre che della graduale liberazione delle nazioni del blocco sovietico, sullo sfondo della nostra libertà appena acquisita. Senza i cambiamenti in Unione Sovietica, Polonia, Ungheria e Repubblica Democratica Tedesca, sarebbe stato difficile per noi far accadere ciò che è accaduto e, se fosse accaduto, non sarebbe stato sicuramente con caratteristiche cosí belle e pacifiche.
Il fatto che abbiamo avuto condizioni internazionali favorevoli, non significa tuttavia, che in queste settiamane ci abbia aiutato qualcuno. Dopo secoli, in defintiva, i nostri due popoli si sono rialzati autonomamente, senza l’aiuto degli stati più potenti o delle superpotenze. Mi sembra che questo sia il grande contributo morale a questo momento: nasconde la speranza che non soffriremo più del complesso di coloro che devono ringraziare sempre qualcuno per qualcosa. Ora tocca solo a noi, se questa speranza sarà soddisfatta e se a livello storico si risveglia in modo nuovo la fiducia civile, nazionale e politica, in noi stessi.
L’autostima non è l’orgoglio.
Al contrario, solo una persona o una nazione nel senso migliore della parola autostima è in grado di ascoltare la voce degli altri, accettarli come uguali, perdonare i loro nemici e rimpiangere le proprie colpe. Proviamo a trasmettere tale fiducia in noi stessi come persone nella vita della nostra comunità e come persone nel nostro comportamento sulla scena internazionale. Questo è l’unico modo per ottenere rispetto per noi stessi, e di conseguenza il rispetto reciproco degli altri popoli.
Il nostro stato non dovrebbe essere piú schiavo o parente povero di qualsiasi altro. Dobbiamo prendere molto dagli altri e imparare molto, ma dobbiamo farlo, dopo tanto tempo, come partner alla pari, che hanno anche qualcosa da offrire.
Il nostro primo presidente ha scritto: Gesú, e non Cesare. Si ricollegava in questa maniera a Čelčický e Komenský. Oggi questa idea é tornata in vita. Oserei dire che forse abbiamo anche l’opportunità di diffonderla ulteriormente, introducendo un nuovo elemento nella politica europea e mondiale. Dal nostro paese, se vogliamo, si può irradiare il nostro amore per sempre, il desiderio di comprensione, il potere dello spirito e dei pensieri. Questi raggi possono essere esattamente ciò che possiamo offrire come nostro contributo unico alla politica mondiale.
Masaryk ha fondato la politica sulla moralità. Proviamo nei tempi moderni a rinnovare questo concetto nella politica. Insegniamo noi stessi e gli altri che la politica dovrebbe essere un’espressione del desiderio di contribuire alla felicità della comunità e non al bisogno di imbrogliare o violentare la comunitá stessa. Insegniamo a noi stessi e agli altri che la politica non può essere solo un’arte possibile, soprattutto se si intende l’arte della speculazione, calcoli, intrighi, accordi segreti e manovre pragmatiche, ma che può anche essere un’arte dell´impossibile, vale a dire l’arte di rendere se stessi e il mondo migliori.
Siamo un piccolo paese, eppure in passato siamo stati il crocevia spirituale dell´Europa. Perché non lo dovremmo diventare nuovamente? Non sarebbe un ulteriore fondamento, su cui poter ripagare l´atrui aiuto, di cui avremo bisogno?
La mafia domestica di coloro che non guardano fuori dai finestrini dei loro aerei e mangiano suini appositamente ingrassati, purtroppo vive ancora e occasionalmente muove le acque, ma non é più il nostro principale nemico. Ancor meno lo é qualsiasi mafia internazionale. Il nostro più grande nemico oggi é rappresentato dalle nostre cattive caratteristiche. Indifferenza nei confronti degli affari generali, vanità, ambizione, egoismo, ambizioni personali e rivalità. In questi campi ci attende la nostra partita principale.
Abbiamo davanti a noi le libere elezioni e pertanto anche lo scontro preelettorale.
Non lasciamo che questa lotta sporchi il volto ancora puro della nostra meravigliosa rivoluzione. Impediamo che le simpatie del mondo, che abbiamo così rapidamente conquistato, in modo altrettanto rapido si perdano nei meandri degli squali del potere. Non lasciamo che sul desiderio di servire l´interesse generale, rifiorisca il solo desiderio di curare l´interesse personale del singolo. Ora non si tratta davvero di quale partito, club o gruppo vincerà le elezioni. Ora si tratta che all´interno di questi vincano- indipendentemente dalla loro legittimità- le parti migliore di noi nel senso morale,civile e politico. La politica futura e il prestigio del nostro Stato dipenderanno da quali personalità scegliamo e quindi voteremo di essere nostri rappresentanti nei nostri enti.
Cari concittadini!
Tre giorni fa sono divenuto, per espressione della vostra volontá, tradotto davanti dall’Assemblea federale, il presidente di questa repubblica. Quindi vi aspettate giustamente, che io menzioni i compiti che vedo come Vostro presidente dinnanzi a me.
Il primo di questi compiti è l´utilizzo di tutti i miei poteri e la mia influenza per arrivare tutti rapidamente e dignitosamente alle urne in libere elezioni e che il nostro percorso verso questa pietra miliare storica sia gentile e e pacifico.
Il mio secondo compito è vegliare affinché accediamo a queste elezioni come due nazioni autonome e autentiche, che rispettano gli interessi reciproci, l’identità nazionale, le tradizioni religiose ed i propri simboli. Come Ceco, all’ufficio presidenziale, dove ho fatto un giuramento nelle mani dell´illustre ed a me vicino Slovacco, sento, dopo le varie amare esperienze passate degli slovacchi, un dovere speciale per garantire che tutti gli interessi della nazione slovacca siano rispettati e che non gli siano impediti in futuro gli accessi alle funzioni statali, ivi compresa la piú prestigiosa.
Come mio terzo compito, considero il sostegno a tutto ciò che porterà a una posizione migliore per i bambini, gli anziani, le donne, i malati, i lavoratori laboriosi, i membri delle minoranze nazionali e tutti i cittadini che stanno peggio di altri per qualsiasi motivo. Nessun cibo o ospedale migliore dovrebbe essere il privilegio dei potenti, ma devono essere offerti a coloro che ne hanno più bisogno.
In qualitá di capo delle forze di difesa, voglio essere garanzia, che la difesa del nostro stato non rappresenti più per nessuno la scusa per abiurare audaci iniziative di pace, compresa la riduzione del servizio militare, l’istituzione di un servizio militare sostitutivo e l’umanizzazione complessiva della vita militare.
Nel nostro paese ci sono molti prigionieri che sono gravemente colpevoli e pertanto punti, ma che hanno dovuto passare attraverso – nonostante la buona volontà di alcuni investigatori, giudici e soprattutto di avvocati – la decadente giustizia che ha ridotto i loro diritti, e devono vivere nelle carceri, che non cercano di risvegliare il meglio di ogni uomo, ma, al contrario, umiliano dal punto di vista fisico e spirituale le persone. Alla luce di tutto questo, ho deciso di dichiarare un’amnistia abbastanza ampia. Incoraggio tuttavia i carcerati a capire che quaranta anni di cattive indagini, giudizi e incarcerazioni non possono essere rimossi da un giorno all’altro, e che capiscano che tutte le rapide previste future modifiche, richiedono comunque un certo tempo. Le rivolte non aiuteranno né questa società né loro stesse. Alla pubblica opinione domando di non temere i prigionierj liberati, di non imbarazzarli nella loro vita e di aiutarli in senso cristiano dopo il loro ritorno, per ritrovare dentro se stessi ciò che non potevano trovare nella prigione: la possibilità di pentimento e il desiderio di vivere in modo corretto.
Il mio compito solenne é di incrementare l´autoritá della nostra nazione nel mondo. Sarei felice se altri stati ci considerino per quanto dimostreremo nella comprensione, tolleranza e amore verso la pace. Sarei lieto se, ancora prima delle elezioni, potesse visitare la nostra nazione – anche solo per un giorno – il papa Giovanni Paolo II ed il dalaj lama tibetano. Sarei felice se si rinforzassero i nostri rapporti amichevoli con tutte le nazioni. Sarei felice, se riuscissimo a instaurare ancora nel periodo preelettorale, dei rapporti diplomatici con il Vaticano ed Israele. Voglio contribuire alla pace anche tramite la mia breve visita di domani presso i nostri affini vicini. La Germania democratica e la Germania federale. Non dimentico nemmeno i nostri ulteriori vicini – i fartelli polacchi ed i sempre piu´nostri vicini ungherei e austriaci.
In conclusione sono felice di affermare che voglio essere presidente, che parlerá meno, ma lavorerá di piú. Il presidente che osserverá lieto dai finestrini del proprio aeroplano, ma anche quello che soprattutto sará presente tra i propri concittadini e saprá ben ascoltarli.
Forse vi domandate quale sia la repubblica che sogno.
Vi rispondo: sogno di una repubblica indipendente, libera, democratica, di una una repubblica prospera dal punto di vista imprenditoriale e contemporaneamente socialmente giusta, in breve, di una repubblica della gente, che é al servizio del singolo, e per questo che abbia la speranza affinché anche il singolo la serva. Di una repubblica di persone universalmente istruite, perché senza di queste non é possibile affrontare nessuno dei nostri problemi. Umani, economici, ecologici, sociali e politici.
Il mio predecessore piú importante inizió il suo primo discorso citando Comenius. Permettemi, che il mio primo discorso lo termini con una parafrasi delle sue stesse affermazioni:
Spesso mi viene domandato di raccontare come si viveva ai tempi del comunismo a Praga, ed in generale in Cecoslovacchia.
Mi limito a fornire delle informazioni sulla base della mia esperienza e per quanto ho potuto capire successivamente, studiando maggiormente la storia del paese.
A tre anni dalla pubblicazione di questo articolo, ho ricevuto diversi ringraziamenti, ma anche qualche critica. Ho cercato volutamente di non inserire dei giudizi politici, e quanto riportato è ampiamente confermato da diverse fonti oltre che da quanto ho vissuto direttamente.
Una precisazione: parlare di comunismo non è del tutto esatto, in quanto sarebbe più corretto parlare di socialismo, come di un periodo di passaggio verso una organizzazione comunista vera e propria che però non è mai stato possibile realizzare (nemmeno nell’Unione Sovietica). In ogni caso, per semplicità riporto la parola “comunismo”, data la diffusione comune del termine.
Sono consapevole che le mie percezioni siano state caratterizzate dalla condizione privilegiata nata dal vivere stabilmente in Italia, ma ho avuto anche la fortuna di visitare i parenti che abitavano a Praga per circa due mesi all’anno tutti gli anni fino al 1989. Occorre premettere che non ho mai risentito di problemi economici e di reperimento di materie per una alimentazione di base; certamente, specie con l’adolescenza, iniziai a notare che non era possibile trovare nei negozi tutta la gamma di prodotti a cui eravamo abituati in Italia.
Mancanza di libertà e l’informazione distorta
Ogni regime dittatoriale porta inevitabilmente alla repressione della libertà dell’individuo.
“La pressione che un moderno Stato totalitario può esercitare sull’individuo è paurosa. Le sue armi sono sostanzialmente tre: la propaganda diretta, o camuffata da educazione, da istruzione, da cultura popolare; lo sbarramento opposto al pluralismo delle informazioni; il terrore.” (cit. da “I sommersi e i salvati” di Primo Levi).
La censura riguardò tutti gli strumenti di comunicazione di massa: radio, televisione, libri, quotidiani e periodici. In generale tutti i media erano controllati in maniera pressoché totale.
Diversi libri e romanzi occidentali non erano permessi. Gran parte della popolazione ascoltava segretamente le onde radio trasmesse da Radio Europa Libera, lo strumento di propaganda occidentale sulle onde di modulazione d’ampiezza AM che trasmetteva da Monaco di Baviera. L’ascolto era vietato, pertanto occorreva essere molto cauti e solitamente, si ascoltava la sera o la notte.
La televisione aveva due canali, il primo ed il secondo. L´ intervento politico su questo media era importante, per cui diversi programma parlavano del comunismo, della storia degli uomini di partito comunisti, dell’URSS e degli altri paesi del blocco sovietico. I notiziari dedicavano ampi spazi all’elogio dei successi economici, produttivi, agricoli della nazione, sfoderando dati ottimistici. Non si perdeva occasione per parlare dei guai delle economie e delle società occidentali: la corruzione, i disordini sociali, la povertà, le droghe, e così via.
La libera espressione delle proprie idee non era concessa e determinati argomenti si potevano affrontare solo in un gruppo ristretto di amici fidati, parlando sottovoce e stando molto attenti. Esistevano pubblicazioni clandestine di produzione casalinga– i samizdat a cui ho dedicato un articolo a parte – che consentivano di trasmettere idee, poesie e racconti inneggianti alla libertà. Solamente in determinati luoghi ed in determinati contesti si discuteva di politica (come nelle hospoda – birrerie), ma sempre in maniera molto accorta.
I servizi segreti nella veste di polizia politica della Cecoslovacchia (denominata STB), il sistema capillare di spie e il controllo dell’ordine pubblico attraverso le forze di polizia (VB – veřejná bezpečnost), oltre che instaurare un regime di terrore, portarono ad un disinteresse alla politica attiva, in quanto si era persa la speranza di cambiamento – specie dopo la repressione della Primavera di Praga del 1968.
Un ruolo importante fu svolto da diversi ambienti culturali teatrali (in definitiva anche Václav Havel, primo presidente dopo la caduta del regime, fu un drammaturgo), dove in determinati momenti storici, l’opposizione al regime dittatoriale fu netta e determinata a sostegno dei movimenti studenteschi.
Nel corso dei 40 anni, l’oppressione della libertà non fu sempre costante, si alternarono periodi molto duri (come ad esempio dopo il 1948 o nel periodo della normalizzazione degli anni 70) a periodi più miti (ad esempio negli anni antecedenti la primavera di Praga del 1968 o la progressiva apertura nel corso degli anni 80).
Ricordo chiaramente, come il solo arrivo di una automobile della polizia VB, comportava un fuggi fuggi generale ed uno spiare dalla finestra i loro movimenti.
Le persone apertamente schierate contro il regime, definite come dissidenti, erano oggetto di frequenti arresti, perquisizioni, e naturalmente erano monitorate dai servizi segreti di Stato. Spesso venivano anche costrette ad emigrare, anche se l’atteggiamento principale era quello di degradare al massimo la persona, e tutti i suoi familiari, cercando di portarla all’oblio. Emblematico il caso dell´atleta Věra Čáslavská a cui ho dedicato un articolo.
In effetti, in fasi alterne, i nemici dello Stato non furono solo i dissidenti, ma addirittura furono fatte varie epurazioni interne ai membri del partito comunista stesso, con metodi di tortura, degrado morale e violenza fino alla pena di morte, specie negli anni 50.
Il 27 giugno di ogni anno, si celebra la giornata delle vittime del comunismo: questa data ricorda la pena di morte inflitta alla giurista politica Milada Horáková il giorno 27 giugno 1950.
L’epurato per eccellenza, simbolo della Primavera di Praga, fu Alexander Dubček, l’allora presidente del partito comunista cecoslovacco, fautore di un “socialismo dal volto umano”, che trovò epilogo nell’invasione delle truppe del patto di Varsavia, nell’agosto del ´68. Tuttavia, non fu che la punta di un iceberg: negli anni successivi, tutti i funzionari e coloro che avevano partecipato al processo di rinnovamento, vennero allontanati dal partito, persero il lavoro e non poterono più partecipare attivamente alla vita pubblica. Negli anni successivi a questi eventi, ben 620 mila iscritti al partito furono espulsi.
La presenza di un familiare dissidente o epurato, così come la presenza di familiari che erano emigrati fuggendo dal regime instaurato, comportava difficoltà per tutti i membri della famiglia rimasti: impossibilità di carriere lavorative se non addirittura posizioni lavorative degradanti, impossibilità di accedere a scuole o università per i figli, impossibilità di viaggiare verso altri paesi.
Forse come conseguenza di questo sistema autoalimentato basato sul terrore, esisteva anche una invidia mista all’odio tra le persone, anche tra semplici vicini, che contribuiva ad amplificare gli effetti di questa situazione. Si tratta di un sentimento difficile da descrivere, ma di fatto rese i cecoslovacchi molto diffidenti tra loro, se non indifferenti.
Ancora oggi, sotto certi aspetti, permane questa misteriosa coltre di indifferenza e diffidenza. Demetrio Volčič – giornalista e scrittore – scrisse “Il silenzio, a Praga, non è un fenomeno raro…. in questi paesi in transizione, anche quando il sistema totalitario non esiste più. Le paure hanno percorsi strani, fiumi carsici, si vedono, spariscono, rispuntano e sono così più misteriosi…”
Il partito comunista cecoslovacco
Nonostante varie fasi alterne, come poc’anzi menzionato, il partito comunista cecoslovacco (KSČ) vantava 1,5 milioni di iscritti.
Spesso per poter trovare un lavoro in linea con le proprie aspirazioni e garantire un certo futuro alla propria famiglia si era costretti alla tessera di partito ed alla partecipazione alla vita politica attiva.
Tuttavia, è ovvio come tutto il sistema creato comportasse centinaia di migliaia di persone potenzialmente spie, per cui davvero non si era sicuri di nessuno. Inoltre, il solo fatto di avere la tessera di partito non garantiva alcuna tranquillità in quanto si era comunque un potenziale soggetto da tenere sotto osservazione.
Oltre alla mancata libertà di espressione citata, esisteva anche una limitazione agli spostamenti: era possibile viaggiare abbastanza liberamente per turismo solo nei paesi alleati tramite un visto “výjezdní doložka”. Risale a quel periodo, anche la passione dei cecoslovacchi per il mare, grazie alla Jugoslavia e alla Bulgaria.
Non erano vietati i viaggi in Occidente, tuttavia occorreva richiedere un visto alle autorità locali e motivare il viaggio. Raramente veniva concesso il viaggio all’intera famiglia (le possibilità di emigrazione illegale si riduceva se si tratteneva un membro della famiglia a casa, consapevoli anche delle conseguenze che avrebbe potuto affrontare in caso di emigrazione di familiari).
Per i dissidenti ed i nemici del partito, qualsiasi espatrio, invece, era praticamente impossibile.
La proprietà privata non era permessa e pertanto anche la figura di imprenditori individuali praticamente non esisteva. Era consentita l’assegnazione di un terreno ai fini di consentire l’allevamento domestico e la coltivazione per usi familiari, così come negli anni ´80 divenne frequente l’attribuzione di terreni ai privati per le costruzioni di case che si potevano considerare proprie (le villette vanivano costruite direttamente dal cittadino, nel tempo libero, per cui la costruzione poteva durare anche diversi anni).
I programmi scolastici, oltre ad imporre l’insegnamento del russo obbligatorio dalla terza elementare, erano condizionati dalla visione della storia che il regime voleva diffondere tra le nuove generazioni.
L’associazionismo pubblico era propagato a tutte le fasce di età, come collante della identità socialistica e migliore difensore dei principi propagati.
Erano frequenti manifestazioni pubbliche volte a festeggiare le date importanti per la storia cecoslovacca e dell’URSS, con slogan volti a rimarcare i principi socialisti e di fratellanza tra i paesi dell’area socialista. Ogni buona famiglia, in queste ricorrenze, era raccomandata di appendere alle finestre le bandierine nazionali e quelle sovietiche. La partecipazione a questi eventi era ovviamente vista di buon occhio.
Ogni cinque anni si svolgeva la Spartakiada, un evento ginnico nazionale che coinvolgeva tutte le generazioni ed era il fiore all’occhiello del regime. In tutta la Cecoslovacchia si svolgevano eventi ginnici nei giorni programmati (l’ultima si tenne a fine giugno 1985). I numeri sono impressionanti: oltre 2 milioni di persone che si sono dedicati ad attività ginnica, il pubblico ha superato la cifra di 4 milioni di persone. Il principale programma si svolgeva allo stadio di Strahov, a Praga. Il video a questo link rende l’idea di cosa rappresentavano questi giochi.
La presenza di familiari che vivevano all’Occidente – seppur regolarmente emigrati, come nel mio caso – rappresentava di per sé un primo sospetto importante. La posta poteva essere oggetto di controlli da parte degli organi preposti, le telefonate potevano essere monitorate, occorreva cautela anche nei rapporti quotidiani con le persone.
Circolare con un’automobile occidentale a targa straniera, portava a due fenomeni che oggi fanno sorridere: l’ammirazione delle persone che si fermavano a guardare il mezzo nei minimi dettagli, ma anche le frequenti soste dovute ai controlli di Polizia che spesso e volentieri trovavano le peggiori scuse per appioppare una ammenda.
Era frequente, incrociando una automobile targata italiana, farsi le luci o il colpo di clacson di saluto. Questo per spiegare quanto fossero rari i connazionali in visita da queste parti. D’altra parte, per entrare nel paese i controlli doganali erano lunghi e noiosi, con ore di sosta e talvolta di preoccupazione in attesa che venissero restituiti i passaporti.
La piena occupazione, il lavoro, la casa per tutti e le vacanze.
Il “lavoro per tutti” si presta a varie interpretazioni politiche, specie nel confronto con l’epoca attuale.
Certamente, è un dato di fatto che i regimi comunisti andarono in crisi anche per la scarsa efficienza sul lavoro: la motivazione al lavoro era quasi assente. Le posizioni lavorative molto spesso non corrispondevano alle reali aspirazioni della persona, comportando forte demotivazione se non totale apatia al lavoro.
Le retribuzioni erano appianate, la meritocrazia era praticamente inesistente, e pertanto per poter arrotondare si vendevano prodotti di propria produzione (i prodotti agricoli e di allevamento che si ottenevano dall’orto) oppure si entrava a far parte più o meno direttamente del mondo illecito del cambio in nero e del mercato nero.
La valuta estera pregiata consentiva gli acquisti nella catena di negozi statali denominata Tuzex dove si potevano acquistare i prodotti occidentali tramite i c.d. bony (una forma di moneta cartacea creata appositamente per questi negozi) o tramite valuta estera. Ogni cittadino medio aveva il sogno di potersi recare per acquisti al Tuzex, dove era possibile acquistare anche auto occidentali.
Per quanto ricordo, le professioni dove era possibile guadagnare maggiormente, erano quelle che comportavano i servizi ai turisti (tassisti, camerieri, service in hotel, in quanto consentivano l’accesso anche alla valuta estera, consentendo dei cambi in nero e guadagni nella speculazione della vendita di valuta a terzi).
Molto ambite erano anche le posizioni che comportavano la possibilità di viaggiare, come ad es. i manager di imprese statali che si dedicavano all’export ed in parte all’import, quelle di ambasciatori e funzionari di ambasciate. Anche lo sport consentiva di viaggiare legalmente e passare diversi periodi all’estero, per cui era molto praticato (nota è la celebre tennista Navratilová che emigrò illegalmente negli Stati Uniti oppure Ivan Lendl, originario di Ostrava che fu naturalizzato statunitense).
La situazione, come già accennato, comportava anche il sorgere del mercato nero, consentendo la possibilità di accedere a prodotti di migliore qualità (come ad es. la carne), rispetto alla scarsa qualità e differenziazione presente nei negozi locali, in cambio di soldi e favori.
Anche la casa rappresentava un diritto garantito. Fu questo il motivo che portò alla crescita negli anni 70 e 80 di interi quartieri denominati “paneláky” (le case in pannello), nelle zone di periferia delle principali città. Occorre ricordare che negli anni 70, vi fu una esplosione demografica importante, si tratta della generazione dei c.d. “husákovy děti” (ossia i bambini di Husák, l’allora presidente che fu nominato in carica dal 1969 fino al 1989 nel pieno della normalizzazione post primavera di Praga).
I migliori appartamenti, così come i migliori trattamenti erano garantiti a favore dei membri di partito e dell’apparato militare. Anche questo aspetto fu una conseguenza naturale del regime instaurato.
Le giovani famiglie – dato che tendenzialmente in Cecoslovacchia ci si sposava molto giovani, subito dopo gli studi se non addirittura durante gli studi- spesso dovevano attendere qualche mese se non qualche anno per vedersi attribuito un alloggio nuovo trovando sistemazioni di fortuna.
Come già indicato in precedenza, ogni famiglia praticamente si dedicava alla cura di un orto, così come era diffusissimo il fenomeno delle “chaty”, equiparabili alle dacie presenti in Unione Sovietica, ossia della casa immersa nella natura fuori dalla città, dove i locali trascorrevano serenamente i loro weekend ed a volte le proprie ferie. Ancora oggi, la “chata” è un sogno dei cechi, uno status symbol.
La vita immersi nella natura rappresenta ancora oggi una passione del popolo ceco. Negli anni 70-80 era molto diffuso il “trempink”, ancora oggi presente seppur in forma più lieve, che si può a mio avviso definire come un movimento sociale alla ricerca della natura, dell´avventura e del romanticismo legato alla vita immersi nella flora e nella fauna che condizionò molti giovani, che vagabondavano all´avventura dormendo “pod širákem” ossia sotto il cielo, o nelle tende. “Táborák”, ossia il falò, la musica country delle chitarre, la birra e gli alcolici, i cibi cotti sul fuoco sono stati il lato romantico sognatore di questo modo di vivere. Non è un caso che ancora oggi la radio maggiormente ascoltata dai cechi sia Country Radio.
La caduta del regime nel 1989 è imputabile, oltre ad altri fenomeni oggettivi, anche ai danni ambientali che negli anni 70-80 iniziarono a manifestarsi e portarono a frequenti proteste. Non fu un caso il fatto che Havel, il primo presidente democraticamente eletto dopo la rivoluzione di velluto dell´89, menzionò in uno dei suoi primi discorsi al popolo, i terribili danni ambientali a cui si assisteva ed ai quali occorreva reagire per il bene comune.
Le associazioni di partito
L’associazionismo, come ho già scritto in precedenza, era molto favorito, quasi un obbligo “consigliato” per tutti i cittadini
Si partiva dalle scuole elementari, dai c.d. pioníři, ossia l’associazione dei bambini simili agli scout, passando per il Socialistický svaz mládeže (associazione dei giovani socialisti) fino alla militanza nel KSČ – il partito comunista cecoslovacco.
I pionýry furono un fenomeno particolare che cerco di descrivere meglio, in quanto aveva lo scopo di creare associazionismo tra i giovani (forse quanto ha rappresentato la vita parrocchiale per molti giovani italiani). La Pionýrská organizace Socialistického svazu mládeže – L’organizzazione e associazione socialista di giovani pionieri – fu una organizzazione dominante negli anni 70 e 80 per i giovani cecoslovacchi.
Facevano parte dell’organizzazione i bambini tra i 6 e 15 anni, alunni delle scuole elementari, cittadini cecoslovacchi che dovevano fare il giuramento ed avere il consenso dei genitori. Al termine della scuola obbligatoria, la partecipazione terminava.
Lo slogan principale era ” K budování a obraně socialistické vlasti buď připraven! ” – che tradotto vuol dire “Sii preparato alla costruzione ed alla difesa dello stato socialista!” al quale i bambini rispondevano “Vždy připraven!” – “Sempre pronto!”.
Si divideva in tre fasce a seconda dell´etá dei bambini: jisrky (“scintille”) nell´età tra i 6-8 anni, “mladsí pionýry” ossia i pionieri giovani tra gli 8 – 12 anni e “starší pionýri” tra i 12 e 15 anni. Esisteva poi la quarta categoria dei lavoratori pionieri (i comandanti sopra i 18 anni e gli istruttori tra i 15-17 anni).
Abolita nel 1990, esiste ancora oggi ma non ha più una ideologia politica, resta solo una associazione. Per quanto mi riguarda, non conosco nessuno che ne faccia parte.
Frequenti erano anche le c.d. “brigáde”, lavori collettivi organizzati nei giorni di festività da parte del comune per finalità di pubblica utilità (pulizia di spazi pubblici, lavori di manutenzione a scuole, ecc…).
Per le generazioni di cechi che vissero quegli anni come studenti, sono certamente indimenticabili anche i lavori estivi (“letní brigády”) che erano chiamati a svolgere obbligatoriamente, nei campi di frutta o verdura, o presso aziende produttive.
Gli slogan di partito erano estremamente diffusi, scritti sui monumenti e propagati come vere e proprie pubblicità. Ne elenco alcuni:
Buduj vlast, posílíš mír – Costruisci la patria, accresci la pace
Sovětský svaz – náš vzor – L’Unione sovietica – il nostro esempio
Proletáři všech zemí, spojte se! – Proletari di tutte le terre, unitevi!
Se Sovětským svazem na věčné časy a nikdy jinak! – Con l’Unione Sovietica per sempre e mai diversamente!
Komunismus – náš cíl – il comunismo, il nostro fine
Komunismus – náš zítřek – Il comunismo il nostro domani
Socialisticky pracovat, socialisticky žít! – Lavorare e vivere da socialista!
In agricoltura operavano i c.d. družstva, le cooperative agricole, che gestivano i terreni frutto della collettivizzazione partita nel 1948 (la nazionalizzazione della proprietà privata), erano presenti inoltre i družstva che gestivano imprese di interesse regionale come i trasporti, gli acquisti centralizzati, ecc…
A capo dei družstvo, veniva nominato solitamente un membro del partito KSČ.
Oltre agli slogan, diverse vie, piazze, scuole ed altri luoghi pubblici avevano denominazioni che richiamavano personaggi ed istituzioni comuniste. Anche diverse stazioni della metró cambiarono il nome nei primi anni Novanta. Ho dedicato un breve articolo a questo fenomeno visibile cliccando su questo link.
Aspetti pratici della vita di tutti i giorni
Come ho già indicato all’inizio di questo articolo, non ho mai sofferto la fame. Spesso quando sento raccontare situazioni di carenza di prodotti di base che avrebbero vissuto certi paesi dell’Est, posso affermare che non riguardarono certamente la Cecoslovacchia che ho conosciuto e frequentato. Potrebbe essere dovuto al fatto che Praga ha sempre rappresentato un fiore all’occhiello del paese, ma devo dire che anche quando ho viaggiato al nord ed al sud della Boemia, non ho mai percepito la povertà e la fame
In generale, nei negozi e nei supermercati mancava la scelta tra varie tipologie di prodotti, spesso era presente solo una marca, quella proposta dalle imprese di Stato, e la qualità talvolta era scadente. Frutta e verdura erano limitati, di produzione nazionale o proveniente dai paesi “fratelli”. Le arance cubane, i meloni dalla Bulgaria, le banane dall’America del Sud… In occasione dell’arrivo delle primizie, spesso sorgevano delle file di persone che pazientemente attendevano il loro turno per acquistare questi beni privilegiati.
Ricordo che nel paese dove abitavano i miei nonni, la carne veniva portata al giovedì, pertanto si andava a fare la fila una mezzoretta prima per cercare di acquistare i tagli migliori. Inoltre, come ho già accennato, praticamente ogni famiglia aveva un terreno che coltivava per avere primizie proprie e talvolta si allevavano animali da giardino, come conigli e galline, per avere una carne fresca e di qualità.
La Coca Cola e la Pepsi erano un bene di lusso, che si trovava nei locali turistici e bar del centro di Praga, raramente arrivavano in periferia. Le Marlboro venivano prodotte da queste parti, sulla base di una licenza concessa dalla Philip Morris, ma prevalevano le marche locali (tra cui le onnipresenti Start e le Sparta).
La TV alternava programmi in lingua ceca e programmi in lingua slovacca, questo per favorire l´unione culturale di due realtà che pur avendo radici vicine, avevano una storia ed anche lingue diverse. I film/telefilm americani erano sporadici: trovavano maggiore spazio i film italiani e francesi (ma sempre in modo molto limitato: ricordo ad es. le commedie di Bud Spencer e Terence Hill che effettivamente qua arrivarono, ricordo il film Amici miei trasmesso negli anni Ottanta nei cinema locali, ricordo Ragazzo di Campagna di Pozzetto, ricordo Fantozzi – mentre di francese ricordo Louis de Funés – tipo fantomas e film commedie).
La filmografia predominante era locale (si produceva prevalentemente negli studi di Barrandov a Praga). Anche i telefilm erano maggiormente di produzione locale o comunque dei paesi del blocco sovietico.
Ricordo che in quegli anni, trasmettevano anche il telefilm La piovra con il commissario Cattani… molte persone ritenevano che in Italia le pratiche mafiose fossero piuttosto diffuse e talvolta mi domandavano come si potesse vivere in Italia. D’estate, poi veniva trasmesso un riassunto del festival di Sanremo. Anche grazie a questo, credo, la musica italiana trovò una diffusione importante e maggiore rispetto agli altri paesi occidentali (conosciutissimi, dalle vecchie generazioni, sono Albano e Romina, I ricchi e poveri, Toto Cutugno, Tozzi). Ho dedicato un articolo del blog a questo tema.
Come già accennato ad inizio articolo, i telegiornali di allora, guardati oggi, fanno sorridere. Acclamavano ai risultati produttivi (per lo piú palesemente falsificati) dell’industria e dell’agricoltura, alla crescita della Cecoslovacchia. Non a caso, Havel, nel primo discorso da presidente tenuto il 1.1.1990, dichiarava pubblicamente che seppure per 40 anni il popolo ed i cittadini hanno sentito come il paese cresce ed è prosperoso, lui partiva dal principio che fosse stato eletto pubblicamente per non mentire, pertanto tutte queste cose non erano vere.
L’imponente progetto della Metro a Praga nasce negli anni ´70 grazie al supporto ed alla tecnologia sovietica. L’apertura della prima linea risale al 1974, l’ampliamento ad una ulteriore linea risale al 1977. L’efficienza odierna di tale sistema di trasporto, occorre riconoscerlo, nasce proprio negli anni della Cecoslovacchia socialista.
Quasi tutte le donne si dedicavano al cucito, a tessere la lana, a creare i propri abiti moda con stoffe acquistate. Le tendenze occidentali inevitabilmente arrivavano. Il sogno di ognuna era di essere vestita alla moda. La scarsa capacità di acquisto, si compensava con questa passione che per certi versi è rimasta ancora largamente diffusa ai giorni nostri. Collegato a questa necessità, esisteva anche una larga diffusione dei second hand, denominati “Bazar” dove era possibile acquistare abbigliamento di seconda mano a prezzi modici.
Negli anni Ottanta, a mia memoria, i capelli lunghi degli uomini erano in generale accettati. In realtà i capelli lunghi furono oggetto di aspre contestazioni sul finire degli anni 60: il regime riteneva che le persone con i capelli lunghi fossero ribelli, socialmente problematici e rischiosi per l’ordine pubblico. Risale al ´66 un intervento molto forte da parte delle autorità di polizia (VB) nei confronti di un gruppo di giovani ritenuti problematici. Il tentativo fu di discreditare queste persone, impedendo in alcuni casi anche l’ingresso nelle scuole, nei luoghi di pubblico interesse ed addirittura sui mezzi pubblici.
Di seguito alcuni prodotti che ricordo con nostalgia (non tanto per la qualità, ma per quanto fossero diversi a quanto eravamo abituati in Italia). Peraltro, il fenomeno “retro” è molto amato anche dai locali, ricordando un periodo che oggi appare molto diverso dalla realtà quotidiana.
Per molti aspetti il tempo tende a cancellare i ricordi negativi, lasciando quelli migliori.
Il litro di latte nella plastica
Ebbene sì, non esistevano i tetrapack, e le bottiglie di vetro erano poco diffuse. Il latte si comprava confezionato in plastica sottile. A volte, nel tragitto verso casa la plastica cedeva, magari a seguito di una semplice caduta, e facilmente si combinava un disastro.
Per i bambini, il latte in polvere era il “Sunar“. Le generazioni degli anni 70 e 80, anche per la scarsa propensione all’allattamento, sono cresciute con questo alimento.
Non penso di aver mai mangiato (o bevuto?) in Italia il latte dolce condensato venduto nella confezione a tubetto. Questo latte, da molti giudicato di una dolcezza quasi nauseante, viene venduto ancora oggi.
Il cacao in polvere Granko
Delizia di oDelizia di ogni bambino, il cacao in polvere Granko è nella mente di tutti i 30-40 enni, peraltro si vende ancora nei negozi con questo marchio.
Le Tatranky e Horalky
I I biscotti wafer, generalmente con il ripieno alla nocciola, si sono sempre venduti da queste parti, ricordo in particolare questi due marchi.
Le caramelle
Per la verità, gran parte dei marchi sono ancora presenti oggi. Ricordo vari nomi: le caramelle bohemians – klokánky, le caramelle Slavia, Hašlerky. Le mie preferite erano le caramelle Bon Pari e le Hašlerky
E naturalmente la gomma da masticare Pedro… che dopo 5 minuti erano già senza sapore
La cioccolata maggiormente diffusa, ancora oggi, è sotto il marchio storico ceco Orion, oggi rientrante nel gruppo Nestlé.
I negozi
Risalgono agli anni 70-80 il centro commerciale Kotva di Praga, i supermercati commerciali marchio Prior e Máj. I negozi di alimentari erano quasi tutti sotto il marchio Jednota.
Le scatolette di carne
Ancora diffuse oggi, la carne in scatola sotto forma di paté, aveva una grande diffusione dappertutto. Majka rappresenta probabilmente il marchio più celebre ed ancora oggi è ampiamente consumato.
Il pane nero
Abituato al pane bianco italiano, il pane nero era per me una grande diversità rispetto alle abitudini. Tuttavia, era un pane che mi piaceva, specie con il burro e sale, oppure con il prosciutto cotto (šunka).
La birra
La Cecoslovacchia é sempre stata un grande produttore di birra pregiata, ed il consumo pro-capite è sempre stato molto elevato. Oltre che servita nelle hospode, veniva vendute in bottiglie di vetro, con vuoto a rendere (abitudine rimasta anche oggi). Le birre più celebri erano la Budwaiser e il Plzenský Prazdroj (Pilsner Urquell), ma vi erano numerosi marchi più regionali, come Staropramen, Kozel, Krušovice, ecc….
Le automobili
La Škoda è la casa automobilistica ceca per eccellenza. I modelli che ricordo maggiormente, sono: škoda embéčko, škoda 120 e škoda favorit. Sinonimi di scarso design, praticamente zero accessori e pochissima tecnologia, questi modelli, dato che le auto occidentali difficilmente si potevano acquistare anche per i prezzi proibitivi, hanno rappresentato il sogno di ogni ceco medio.
Esistevano anche altre marche prodotte nei paesi alleati, come il Trabant, oppure l’auto Wartburg prodotti nella ex Germania dell’Est o il žigulík. A volte capitava di vedere anche la Fiat, con la 126 oppure la 127, considerando che veniva prodotta in Polonia.
Un modello di automezzo a tre ruote che mi è rimasto impresso è il Velorex
Le moto e scooter non erano particolarmente diffuse, i marchi più famosi erano la Jawa, il modello Babeta e Čezeta e le moto Samson.
Le bibite
Le bibite occidentali (Coca Cola, Pepsi, Fanta, Sprite,…) non erano facilmente reperibili. Rispetto all’Italia, si diffusero molto le bibite dolci saporite, una sorta di limonata che veniva venduta nei negozi, bar e ristoranti a prezzo molto popolari. I vuoti erano a rendere.
Risale a quel periodo anche la nascita del marchio e della bibita Kofola, che ancora oggi è molto diffusa.
Buchty a domácí koláče
La tradizione dolciaria ceca è ancora oggi molto viva. Ogni famiglia ha la donna di casa che prepara i dolci tradizionali. A seconda dei periodi dell’anno, si alternano varie prelibatezze. Anche la frutta di stagione condiziona molto i dolci e le torte che si servono sulle tavole locali. Personalmente mi porto dentro dei sapori che quando incontro oggi (purtroppo sempre piú raramente) mi risvegliano i ricordi della mia infanzia, della nonna che nei giorni di festa preparava i koláče e le torte. Un posto nel mio cuore le hanno le “buchty”, dei dolci lievitati e ripieni di ricotta dolce, cosparsi di zucchero a velo.
Piccole letterine in plastica, dai tanti colori, che si incastravano tra loro. Si trattó di un incredibile fenomeno moda degli anni Ottanta, a cui ho dedicato anche un post autonomo visibile al seguente link.