Categorie
sport Storia

Emil e Dana Zátopek – essere leggende sportive nei difficili anni del dopoguerra

Ancora oggi, i coniugi Emil e Dana vengono ricordati come atleti primari del periodo a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso. In effetti vinsero numerose medaglie, stabilirono vari record mondiali e nazionali, dando lustro alla Cecoslovacchia del dopoguerra.

In particolare Emil Zatopek, vincendo medaglie olimpiche sia nelle gare di mezzofondo che di fondo, resta ancora oggi una figura mitica dello sport mondiale. Nel 2012 fu incluso nella IAAF Hall of Fame, della federazione internazionale dell´atletica leggera, nella quale attualmente rientrano solo 24 atleti.

L´immagine di Dana è stata in parte messa in ombra da questi straordinari successi del marito, pur restando comunque un punto di riferimento del mondo atletico nazionale cecoslovacco per diversi decenni.

La loro storia è fatta di tante luci, e qualche ombra che per fortuna con il tempo sembrano sbiadirsi. D´altra parte, vissero negli anni della Cecoslovacchia comunista, e non poterono certamente restare chiusi in una bolla di vetro.

EMIL, LA LOCOMOTIVA UMANA e DANA, LA GIAVELlOTTISTA

Sia Emil che Dana, nacquero lo stesso giorno, il 19 settembre 2022. Si unirono in matrimonio nel 1948 dopo le olimpiadi di Londra.

Emil Zatopek nacque a Kopřivnice, in Moravia. Solo per caso, grazie al suo primo datore di lavoro Baťa, si avvicinò al mondo della corsa dimostrando fin dalla adolescenza un innato talento, ma anche una enorme forza di dedizione e passione che lo portò a trionfare in varie discipline olimpiche, tra il 1948 a Londra (oro nei 5 km ed argento nella 10 km) ed il 1952 a Helsinky (oro nei 5 km, nei 10 km e nella maratona), oltre a vincere diverse gare europee e nazionali. Probabilmente avrebbe potuto vincere ulteriori medaglie alle olimpiadi del ´56 di Melbourne se non avesse dovuto subire una operazione all´ernia qualche settimana prima dell´evento (giunse comunque sesto alla maratona).

Sviluppò un particolare metodo di allenamento all´avanguardia per il periodo, fatto di diverse ripetute alternate e di carichi di lavoro estenuanti. Il suo volto contratto dallo sforzo fisico e lo stile della corsa molto particolare, divennero famosi in tutto il mondo, e venne soprannominato “Emil il terribile” e “la locomotiva umana”.

Resta inoltre nella storia dell´atletica questa capacità di vincere in discipline diverse nella media e lunga distanza.

La moglie Dana Zátopková, originaria di Frýštat (paese nella provincia di Karvina situato nella regione della Slesia), fu campionessa olimpica nel 1952 nella disciplina di lancio del giavellotto e vinse gli europei del 1954 e del 1958. Alle olimpiadi di Roma, nel 1960, ottenne la medaglia d´argento.

Successivamente, Dana dedicò i suoi anni ad allenare le giovani promesse non perdendo mai la passione per lo sport. Visse sempre accanto al marito senza avere figli. Viene ricordata come una donna molto forte, con proprie opinioni e metodi, senza peli sulla lingua. Il rapporto con Emil fu molto schietto e sincero.

Si narra che nel 1952, Ťopek (cosí veniva chiamato Emil dalla moglie) vinse i 5.000 metri, e poi a distanza di pochi minuti Dana vinse l´oro nel lancio del giavellotto. Il marito in conferenza stampa fece capire che con la sua vittoria aveva probabilmente inspirato la moglie. Dana rispose „Davvero? Va bene, vai a cercare di ispirare qualche altra ragazza e vedi se anche lei riesce a lanciare un giavellotto a cinquanta metri!”.

* * *

Tuttavia, se le qualità straordinarie degli atleti Zatopek non si possono certamente mettere in discussione, i Zatopek „cittadini“, che hanno vissuto durante il regime comunista, sono spesso fonte di riflessione e critica da parte degli storici.

Le seguenti considerazioni si basano prevalentemente sulla figura del marito Emil, ma occorre tenere conto che Dana restò sempre al suo fianco e pertanto probabilmente condivise  le scelte del marito.

EMIL e LA POLITICA, NON SEMPRE UNA SCELTA DI COERENZA

Per farsi un´opinione, occorre calarsi nel contesto storico: senza dubbio, Emil Zatopek rappresentò una grande icona per il regime comunista, esprimeva la vita dello sportivo vincente, famoso in tutto il mondo e rappresentava un fiore all´occhiello a livello internazionale. D´altra parte, lo stesso Zatopek amava presentarsi pubblicamente, e non temeva di esprimere pubblicamente le proprie opinioni, senza particolari peli sulla lingua. Sono rimaste nella storia alcune sue affermazioni, che riportiamo in calce a questo articolo.

Visse l´apice della carriera sportiva negli anni dal 1948 al 1952 anni in cui il regime totalitario mostrò molti lati negativi ad iniziare dalle repressioni dei dissidenti e delle persone ritenute problematiche, passando per l´epurazione interna che portò a decretare la pena di morte per alcuni membri fondatori del regime, fino alla riforma monetaria che venne introdotta nel 1953 in Cecoslovacchia.

In questi anni, Zatopek, entro a far parte dell´esercito e aderì al partito comunista (tradizione di famiglia, dato che il padre ne era stato membro tra gli anni 20 e 30) e svolse fedelmente il ruolo che gli venne domandato dai gerarchi di partito, seppure non abbia celato alcune sue opinioni contrarie in difesa di alcuni atleti che lui conobbe e che il regime cercò di penalizzare e offuscare, forte – probabilmente – della sua pubblica immagina. Si dice che abbia espresso parere positivo alla condanna a morte di Milada Horakova e che rientrasse tra le persone catalogate come spie di regime nella polizia segreta STB, sotto lo pseudonimo di „Macek“.

Dopo aver terminato l´attività agonistica, nel 1956, continuò a svolgere una opera educativa incontrando scolari e studenti e promuovendo lo sport tra i giovani. Negli anni Sessanta, come dipendente del Ministero della Difesa, rientrò nel reparto che si occupava della preparazione fisica dei militari.

Con l´arrivo del 1968, Zatopek si schierò apertamente a favore delle riforme che la Primavera di Praga e il Governo Dubcek stava introducendo nella Cecoslovacchia. Sottoscrisse anche il manifesto pubblico denominato delle „2 mila parole“ a favore del riformismo, documento che poi successivamente venne definito controrivoluzionario.

In effetti, a partire dal 1969, durante il periodo c.d. della „normalizzazione“ nel quale il regime ristabilì i principi socialisti alla base dello Stato debellando qualsiasi velleità democratica, anche Zatopek fu oggetto di inchiesta, allontanato dall´esercito e assegnato a lavori geodetici di ricerca e scavo di pozzi per sei anni dato che nessuno voleva assumerlo. Furono indubbiamente anni duri per Emil: il regime lo stava cercando di portare nell´oblio collettivo, si narra avesse problemi con l´alcool e durante le settimane di duro lavoro, fu costretto a dormire in una c.d. „maringotka“ (caravan su ruote utilizzato dagli operai).

Zatopek in quegli anni rinnegò la sua adesione ai progetti riformistici ritenuti „rivoluzionari“ e pubblicamente dichiarò di ritirare la propria firma dal manifesto delle 2 mila parole che aveva sottoscritto assieme alla moglie.

Gradualmente fu riabilitato. Nel 1976 venne assunto presso il  centro di documentazione dell’Unione cecoslovacca di educazione fisica, per tornare ad essere negli anni 80 il simbolo della Cecoslovacchia riconosciuto a livello internazionale. Nel 1984 approvò pubblicamente la decisione della Cecoslovacchia di non partecipare alle olimpiadi di Los Angeles.

Nonostante questi cambiamenti di opinione del Zatopek „uomo“, l´immagine dell´atleta e del mito che rappresentó non furono mai offuscati, ed ancora oggi vengono largamente riconosciuti.

Gli storici discutono spesso se Zatopek non abbia mai pensato ad emigrare, come fecero alcuni sportivi e artisti durante gli anni Settanta. Il regime probabilmente lo avrebbe anche sostenuto in questa scelta, ma in realtà, tutti convergono nel ritenere che Zatopek  e la moglie non avrebbero mai lasciato la propria terra, alla quale erano profondamente legati.

* * *

Un ultimo ricordo di Zatopek, riguarda la sua amicizia con l´italiano Carlo Capalbo, l´organizzatore della maratona di Praga e delle numerose gare podistiche in Repubblica Ceca, nonché fondatore del progetto RUN CZECH riconosciuto a livello internazionale.

Si incontrarono negli anni novanta per discutere appunto della maratona di Praga, ed una foto li ritrae assieme sorridenti.

Zatopek morì nel 2000, dopo una lunga malattia. La moglie Dana nel 2020, a 98 anni.

Nel 2021 è stato presentato il film ceco „Zátopek“.

* * *

Le frasi celebri attribuite a Zatopek:

  • Non mi è stata data la possibilità di correre e sorridere allo stesso tempo
  • dovete sapere che non si tratta di ginnastica o di pattinaggio artistico
  • Se vuoi vincere qualcosa, corri 100 metri. Se vuoi fare un’esperienza, corri una maratona
  • Se non ce la fai, accelera
  • È la linea del dolore e della sofferenza che separa i ragazzi dagli uomini
  • Vincere è una grande cosa, ma l’amicizia è ancora meglio

Categorie
Storia

La campana #9081 di Praga

La campana del progetto #9081 é stata inaugurata ufficiale il 28 agosto 2022 e per il momento é esposta a Praga lungo la Moldava su un pontone ormeggiato sulla riva destra della Moldava, nell’immaginario collegamento tra il Castello di Praga e il Teatro Nazionale.

Nel prossimo futuro troverá la sua definitiva collocazione nella zona di Rohanský ostrov nel corso del 2024.

Non é una campana qualunque: ha il compito di ricordare le 9.801 campane che i Nazisti fecero raccogliere e convogliare nella zona di Maniny – Rohanský ostrov nel 1941 per poi trasferirle in Germania via fiume, fonderle e destinarle alla produzione di armi.

Circa il 90% delle campane presenti sul territorio dell´allora protettorato ceco sparirono. Il suono di questa campana ha il compito di ricordare le 9.801 campane sottratte ed ammutolite. Una imposizione che ha penalizzato lo spirito di comunità di città e villaggi, in uno dei momenti più tristi della storia ceca.  

La frase incisa sulla nuova campana

La campana 9081, prodotta dalla azienda leader austriaca Grossmayr  di Innsbruck, pesa 9.801 chilogrammi, é alta 187 centimetri e il corpus centrale pesa 300 kg. La base ha oltre 2,5 metri di larghezza. La progettazione ha coinvolto i campanari praghesi, che nell´involucro esterno hanno voluto inserire i frammenti delle campane perdute per sempre. Per suonarla, occorrono almeno 4 campanari.

Il costo ha superato i 12 milioni di corone (circa 500 mila EUR). La raccolta fondi, tutt´ora in corso sul sito 9801.cz, è stata organizzata dalla associazione no profit Sanctus Castulus, z. s., in collaborazione con le principali fondazioni e associazioni no profit ceche.

La campana non ha ancora un nome, secondo gli ideatori il nome verrà scelto dalla gente, come nel caso della famosa campana del Castello di Praga (presso la cattedrale di San Vito) denominata Zikmund – fusa nel 1549 e che pesa oltre 16 tonnellate – o delle campana di Vaclav, che si trova presso la Chiesa di San Havel, vicino a piazza della città vecchia, che è stata creata per in memoria del drammaturgo ed ex presidente Vaclav Havel.

Fonti: il sito 9801.cz, il podcast Přepiště dějiny, Wikipedia, vari articoli dei quotidiani.

Categorie
Politica Storia

DUBČEK ed il sogno del socialismo dal volto umano.

Il 13 novembre 1988, Alexander Dubcek, ricevette la laurea ad honoris causa in Scienze politiche dall’Università di Bologna in occasione del IX centenario di nascita dell’Ateneo. Nei giorni seguenti il Comune di Bologna conferì allo stesso la cittadinanza onoraria.

Queste onorificenze rappresentarono la definitiva riabilitazione a livello internazionale del politico statista che rappresentò la Primavera di Praga nel 1968.

Alexander Dubček, agli occhi del mondo occidentale, ha sempre rappresentato la figura simbolo del sogno di riforma e democratizzazione del socialismo. Questo sogno fu brutalmente represso dall’invasione delle truppe del patto di Varsavia il 20 agosto 1968.

Spesso Dubček viene associato alla figura di Michail Gorbaciov, il premier sovietico che nella seconda metà degli anni 80 cercò tramite la perestrojka e la glasnost di riformare il sistema sovietico. In effetti Dubček ha espresso in varie interviste di allora la simpatia per il leader sovietico, rivedendo vari punti riformisti di cui si era fatto promotore un ventennio prima.

Come per Gorbaciov, tuttavia, l’immagine trasmessa dal leader Alexander Dubček verso i paesi c.d. occidentali, non ha un riscontro del tutto paritetico nella politica interna del paese di appartenenza, dove ancora oggi viene criticato per alcuni passaggi politici conseguenti all’invasione sovietica del 1968.

Questa critica, associata alla lontananza dalla politica attiva di oltre un ventennio, portarono ad escludere fin da subito la figura di Alexander Dubcek come presidente della neonata democratica Cecoslovacchia nel 1989, a scapito di Václav Havel – figura non collusa al precedente regime.

Ciò nonostante, comunque Dubček venne designato dal 1990 a capo del Parlamento Confederale, di fatto ricoprendo la seconda carica più importante a livello istituzionale fino al 1992, l’anno in cui morì a seguito di un incidente stradale sull’autostrada D1.

Di seguito proviamo ad analizzare alcune definizioni ed aspetti della figura politica di Alexander Dubček che talvolta capita di ascoltare ancora oggi.

  1. Dubček – un vero comunista

Nato nel 1921 a Uhrovec, vicino alla città di Trenčin, nell’attuale Slovacchia, Alexander Dubcek, nei primissimi anni della propria vita seguì i propri genitori, di fede dichiarata comunista, in Unione Sovietica fino al 1938. Durante il secondo conflitto mondiale partecipò ai combattimenti e fu ferito in modo non grave.

Nel dopoguerra, divenne membro del partito Comunista Cecoslovacco e iniziò la propria carriera politica, studiando anche per un certo periodo a Mosca, fino a divenire il presidente del partito comunista cecoslovacco nel gennaio 1968 a sostituire l´uscente Antonin Novotný, visto come un conservatore anacronistico.

Presumibilmente l’idea di riforma del sistema è maturata in Dubček negli anni, avendo constatato come certi periodi storici sovietici fossero stati molto bui e poco vicini alle esigenze della gente. Per questo motivo, fu fermamente convinto nell´introdurre le riforme per cercare di realizzare il “socialismo dal volto umano”.

Il successo delle riformo introdotte molto rapidamente nei primi mesi del ´68 non fu solo di Dubček, ma dell’ala riformista dei comunisti cecoslovacchi che gradualmente presero il potere sostituendo i precedenti membri conservatori. Non si può tuttavia dimenticare, che tra gli stessi riformisti, vi furono anche persone che dopo l’invasione dell’agosto del 68, rinnegarono le riforme per riportare il paese alla normalità. Tra questi, il più celebre fu il futuro presidente del partito nonché´ presidente Cecoslovacco Gustav Husák, definito non a caso come un comunista pragmatico.

Alexander Dubček non ha mai rinnegato la sua fede politica comunista/socialista e dopo la rivoluzione di velluto del 1989, entrò a far parte del partito socialdemocratico.

2. Dubček – un ingenuo sognatore

Nella valutazione obbiettiva di questo personaggio, occorre tenere conto del fatto che la sua carriera politica ebbe origine nel secondo dopoguerra, negli anni in cui i comunisti presero il potere con metodi assai poco democratici, e consolidarono la propria posizione con epurazioni importanti dei possibili oppositori, nonché anche al proprio interno.

Dubček trovò spazio per fare carriera, e naturalmente affermarsi anche contro avversari politici di partito, avendo la meglio -non ultimo il menzionato segretario del partito comunista cecoslovacco uscente Novotny (nonché´ presidente cecoslovacco), che nei mesi successivi venne addirittura espulso dal partito.

Sempre con il sorriso sulle labbra, non conflittuale, amato dalla gente, Dubcek rappresentava agli occhi degli elettori del partito il giusto compromesso tra riformisti e conservatori. In realtà, da solo avrebbe potuto ben poco. Il suo avvento al potere all’interno del partito era accompagnato da vari riformisti, che prevalsero sull’ala conservatrice del partito ed avviarono importanti riforme.

In effetti, i riformisti proposero al comitato centrale del partito nell’aprile del 68 un manifesto politico che si basava su alcuni pilastri riformisti che proponevano

  • una propria strada al socialismo
  • maggiore potere agli organi statali
  • la libertà di parola
  • la riforma economica
  • la federalizzazione della Cecoslovacchia

Questo manifesto fu approvato e nelle settimane a seguire vi fu un forte fermento. Di fatto si introdusse la libertà di parola, si andò a revisionare la politica di partito degli anni Cinquanta evidenziando i gravi errori, si permise la nascita di organizzazioni politiche che sostavano la democrazia e la aggregazione tra le persone.

Forse Dubček fu ingenuo nel ritenere che Mosca e gli alleati del patto di Varsavia non intervenissero a seguito delle riforme introdotte. Nel corso del 68 vi furono diversi incontri e riunioni tra le parti, dove Dubček venne ripreso e invitato a ripristinare lo stato delle cose secondo le aspettative di Leonid Breznev e degli altri alleati. Non fu solo l’Unione Sovietica ad essere preoccupata di questo nuovo decorso, ma anche i paesi del patto di Varsavia – specie quelli limitrofi – che temevano che questo riformismo potesse prendere piede anche nei loro Stati.

Furono dati vari segnali a Dubček che la pazienza stava per terminare, non ultimo durante lo storico incontro dei primi di agosto del 68 a Čierna nad Tisou.

Avendo avviato le riforme, Dubček e tutti i riformisti si potrebbero essere trovati nella situazione di non avere idea di come annullare le concessioni democratiche. Probabilmente, loro stessi furono sorpresi dalla rapidità di intervento delle armate sovietiche e dei paesi del patto.

Con il senno del poi, furono ingenui nel non comprendere che l’invasione della Cecoslovacchia si stava preparando già da diversi mesi. Questo aspetto fu dimostrato dalla massiccia capacità di intervento e dall’immediata occupazione dei centri di potere da parte dei militari sovietici.

3. Dubček – un politico debole

Questa affermazione nasce certamente dalla situazione politica successiva all’invasione sovietica dell’agosto del 68, ed alle posizioni che Dubček ha assunto in determinate situazioni.

L’intelligenza politica di Mosca fu quella di non liquidare la figura di Dubček immediatamente, ma di lasciarlo comunque attivo in politica per un ulteriore anno, costringendolo ad attuare le misure di ripristino del regime, che poi portarono al successivo periodo denominato della “normalizzazione”.

Dubček, fino all’estate del 68 era al top delle preferenze politiche non solo di partito, ma del popolo cecoslovacco. Oltre ad introdurre delle riforme democratiche, si presentava al pubblico con il proprio sorriso e gli occhi socchiusi che sembravano sorridere. Si presentava “umano”, molto distante dagli uomini di partito a cui si era abituati. Questa sua immagine, di uomo del popolo, che amava incontrare la gente, era entrata nel cuore dei cecoslovacchi e non solo. Anche i media occidentali avevano notato questo personaggio.

Un primo piano di Alexander Dubček

Una rapida eliminazione di Dubček avrebbe potuto avere conseguenze rischiose creando ulteriori tensioni, e l’URSS si sarebbe trovata a dover affrontare critiche internazionali ancora più pesanti di quelle che già si trovava a fronteggiare. In vari momenti Mosca fece capire che era poco propensa a spargimenti di sangue oltre a quelli che già stavano avvenendo.

La capitolazione politica di Dubček é certamente da far risalire ad un anno dalla invasione dei carri armati, quando nell’agosto del 1969 sottoscrisse quello che ancora oggi è conosciuto come “Pendrekový zákon”, ossia la legge federale di alcuni provvedimenti transitori per la tutela dell´ordine pubblico, che di fatto fu la legge che consentì di imprigionare migliaia di manifestanti, di espellerli dalle attività lavorative, o dalle scuole e di limitare le organizzazioni civili.

Dubček stesso, in varie occasioni, anche a distanza di anni, ha reputato questo gesto come un errore politico imperdonabile e del quale ha sempre espresso un vivo rammarico.

Nei mesi precedenti, tuttavia, aveva dovuto assistere all’uscita indotta di molte figure chiave della Primavera di Praga, alcuni riformisti si dimisero volontariamente ed emigrarono, altri furono oggetto di una politica denigratoria volta a screditarli. Il Governo fu costretto a sottoscrivere un accordo di soggiorno temporaneo dei militari sovietici sul territorio cecoslovacco. Per le strade le proteste furono gradualmente sedate, spesso con violenza. La polizia segreta stava riprendendo forza e reintroducendo metodi totalitari nel controllo delle persone. A fine gennaio del 69, il mondo intero fu scosso dal gesto di un giovane studente universitario, Jan Palach, che si tolse la vita immolandosi. L’intera drammatica aggressione che stava opprimendo la Cecoslovacchia era racchiusa in quel drammatico gesto.

In questo contesto, Dubček, ricopriva ancora un ruolo politico attivo, pur senza particolari ambizioni, ma che logorava la sua popolarità. In fondo, non si era mai apertamente schierato contro l’invasore.

Potrebbe averlo fatto per senso di responsabilità, per evitare una guerra civile e ulteriori morti. Tuttavia, agli occhi della gente, emergeva la sua debolezza.

4. Dubček – il ventennio dell’oblio ed il ritorno

Il 24 settembre 1969 il direttivo del partito comunista decise la revoca di Dubček dalla funzione di presidente della assemblea federale e la nomina ad ambasciatore in Turchia, nomina poi ratificata a dicembre dello stesso anno dallo stesso presidente. Ad Ankara rimase solo un anno, per poi rientrare in patria, essere espulso dal partito comunista cecoslovacco ed infine essere riposto in funzioni secondarie di carattere regionale dove volutamente fu emarginato dalla vita sociale e politica (Nel 1970-1985 Dubček ha lavorato per le Foreste di Stato della Slovacchia occidentale a Bratislava Krasňany).

Pur rappresentando sempre un potenziale rischio, i servizi segreti Stb probabilmente non ebbero problemi nella gestione di Alexander Dubček in quanto non divenne mai apertamente un dissidente.

Il suo ritorno alla politica attiva risale al novembre del 1989, ai primi giorni della rivoluzione di velluto, dove fu acclamato dai manifestanti e invitato dallo stesso Havel. Tuttavia, come già detto in apertura, la candidatura a presidente dello stato cecoslovacco venne rapidamente esclusa a priori, ma gli fu assegnata la presidenza dell’assemblea federale della neonata democrazia, vista l’immagine pulita e molto apprezzata in Occidente. Questo incarico lo coprì fino alla morte, avvenuta nel settembre del 1992 a seguito di un incidente automobilistico sull’autostrada D1 tra Praga e Brno.

Categorie
Politica Storia

I Sudeti Cecoslovacchi, una storia di difficile convivenza tra etnie, senza un lieto fine.

A seguito della dissoluzione dell´Impero Austro Ungarico alla conclusione della prima guerra mondiale, nel 1918 nacque la Repubblica Cecoslovacca, comprendente le regioni della Boemia, Moravia, Slesia Cechia, Slovacchia e Rutenia (in ceco „Podkarpatská rus“).

Si coronò il sogno di autonomia maturato nel corso del secolo precedente e la personalità maggiormente di spicco di questi anni fu certamente il primo presidente, Tomáš Garrigue Masaryk.

Nel 1918, la neonata Repubblica Cecoslovacca, si trovò tuttavia a gestire varie situazioni problematiche, non definite a priori sulla carta e sulle quali si aprirono varie discussioni in campo internazionale che perdurarono anche nel 1919.

Le nuovo frontiere furono contestate sia nelle provincie a maggioranza tedesca prevalentemente localizzate ai confini con la Germania e l’Austria – proteste portate avanti fino alla primavera del 1919 e che costarono la vita a decine di manifestanti – che nella zona denominata Slesia e della zona di Těšín, rivendicate dai polacchi. Anche la Slovacchia, nella parte meridionale, dovette fare i conti con una situazione di guerra con l’Ungheria, ed una etnia magiara importante presente sul proprio territorio.

Progressivamente, queste situazioni di tensione trovarono una pausa politica dopo la firma degli accordi di pace di Versailles nel 1919.

Tuttavia, le rivendicazioni nazionalistiche autonomiste continuarono sospinte anche dal clima internazionale che si delineò in Europa nel primo dopoguerra.

Per capire la multietnicità della Cecoslovacchia, nel 1930 la popolazione pari a 14,7 milioni di persone, era suddivisa come segue

  • Cechi e slovacchi 9,689 milioni
  • Tedeschi 3,232 milioni
  • Ruteni 549 mila
  • Ungheresi 692 mila
  • Ebrei 187 mila
  • Polacchi 82 mila
  • Altre etnie 50 mila

LE POPOLAZIONI GERMANICHE PRESENTI SUL TERRITORIO CECOSLOVACCO

Occorre premettere che le popolazioni di etnica germanica si iniziarono ad insediare nella zona dei Sudeti fin dal XIV secolo. A livello geografico, per Sudeti si intende la zona dell’altopiano che si trova nella Boemia settentrionale, e la divide dal Bassopiano Germanico. In realtà, nel linguaggio corrente, con il termine di Sudeti si considera tutta la zona a maggioranza germanica che si trova sul territorio Boemo e della Slesia al confine con la attuale Germania, la Polonia e l’Austria.

Presenza germanica nel territorio Ceco – Fonte wikipedia

I rapporti tra la popolazione boema e tedesca furono problematici fin dai decenni antecedenti la prima guerra mondiale, nonostante vari tentativi di trovare una soluzione ragionevole da parte dell’Impero Austro Ungarico, piuttosto liberale nel cercare di introdurre nel parlamento viennese i rappresentanti politici eletti nelle zone di etnia differente eletti democraticamente. Per una piena comprensione della tematica autonomista, dobbiamo tenere presente che nel secolo XIX le spinte nazionalistiche portarono alla nascita anche di nuovi stati (si pensi all’Italia, ad esempio), e di fatto crearono le basi per una guerra mondiale che ebbe anche come effetto la deflagrazione dell Impero Austro Ungarico che esisteva da quattro secoli.

La Cecoslovacchia, nel 1918, nacque effettivamente sulle ceneri dell’Impero Austro Ungarico, e sulla aspettativa delle nazioni vittoriose di punire le nazioni perdenti, in particolare quelle a lingua germanica. Pertanto, accanto ai debiti di guerra, volutamente si divisero le popolazioni di lingua tedesca in vari stati, al fine di impedire la nascita di un forte stato germanico, e limitiare una potenziale minaccia futura per tutte le nazioni europee.

La convivenza tra boemi e tedeschi, già problematica prima della guerra, divenne gradualmente insopportabile, spinta dalla politica nazionalsocialista della vicina Germania che ebbe inizio negli anni 20 del secolo scorso e che ispirarono vari politici di allora.

Negli anni 30, le zone dei Sudeti videro in particolare la vittoria elettorale di due partiti nazionalisti, che nel 1933 confluirono nel Sudetendeutsche Partei, apertamente schierato a partire dal 1937 accanto al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, meglio conosciuto come Partito Nazista o Nazionalsocialista, guidato da Adolf Hitler.

Le pretese autonomiste dei tedeschi presenti nei Sudeti crebbero sempre più, con la crescente forza del partito nazionalsocialista di A. Hitler. Il leader del Sudetendeutsche Partei, Kondrad Henlein, nel 1938 arrivò a pretendere la assoluta autonomia dei territori dei Sudeti presentando tale proposta unilaterale al governo cecoslovacco. Tale richiesta fu rigettata, ma rappresentò il pretesto per la successiva annessione alla Germania nell’autunno dello stesso anno.

In effetti, il 12 settembre 1938 Hitler prese pubblicamente posizione in favore delle rivendicazioni di Henlein e ruppe ogni trattativa con il governo cecoslovacco. In Europa si cercò di raggiungere una soluzione politica a questa crisi sforzandosi di evitare un nuovo conflitto bellico. L’allora capo di governo britannico, Chamberlain, propose una conferenza dei capi di governo britannico, francese, tedesco e italiano, riunitasi poi a Monaco di Baviera, nella quale si acconsentì all’annessione della zona dei Sudeti alla Germania nazionalsocialista (da notare che a questa conferenza non furono invitati i rappresentanti politici cecoslovacchi).

L’accordo di Monaco viene ricordato ancora oggi come un tradimento da parte delle principali nazioni europee alla Cecoslovacchia. L’illusione di evitare un conflitto – che come sappiamo scoppió comunque nel giro di qulache mese – rese la Germania ancora piú forte militarmente e territorialmente. D’altra parte, l’opinione pubblica occidentale non desiderava una seconda guerra, e di questo i politici coinvolti dovettero tenerne conto (questo tipo di politica volta ad ottenere un accordo a tutti i costi, venne denominata appeasement e principalmente riguardó la Gran Bretagna).

Dal punto di vista strategico, l’annessione di questi territori era cruciale per la politica di Adolf Hitler in un’ottica di espansione territoriale che mirava a conquistare i territori slavi, possibilmente senza iniziare alcun conflitto con altre nazioni europee. La Cecoslovacchia, considerata vicina alla Gran Bretagna e soprattutto alla Francia, si trovava in effetti in una posizione strategica che avrebbe potuto indebolire la Germania. Con il senno del poi, la scelta di abbandono degli alleati rappresentó un errore geopolitico.

Sempre con il pretesto di proteggere le minoranze etniche tedesche, nel marzo 1939, Hitler completò il piano di smantellamento della Cecoslovacchia, occupando Praga, e creando il Protettorato Boemo e Moravo direttamente sotto la propria egemonia, mentre nella regione Slovacca fu instaurato un Governo fantoccio filotedesco. Il presidente cecoslovacco in carica, Edvard Beneš, lasció il paese per Londra e poi per gli Stati Uniti.

Accanto ai motivi geopolitici e militari, la Germania ebbe anche un interesse economico ad annettere rapidamente questi territori: la raccolta di manodopera a basso costo – i giovani slavi furono costretti ad andare a lavorare nelle fabbriche tedesche – e presa del possesso da parte del Terzo Reich di materie prime e fabbriche con tecnologia all’avanguardia sul territorio cecoslovacco indispensabili per armare ulteriormente la Germania. Ricordiamo che negli anni 30 la Cecoslovacchia era uno dei paesi all´avanguardia in Europa.

L’atteggiamento dei tedeschi nei confronti delle minoranze boeme non fu clemente: vi furono diversi arresti, molte persone furono costrette ad emigrare, ed in generale si sviluppò un clima di forte intolleranza nella zona dei Sudeti e della Boemia che continuò durante la seconda Guerra mondiale.

Questo duro atteggiamento, si rivoltò contro le etnie tedesche al termine della Seconda Guerra mondiale, facendole ritenere collaborazioniste del regime nazista e creando le premesse per l’esodo imposto negli anni successivi.

Si stima che 2,8 milioni di tedeschi, nel periodo dal 1945 al 1946, furono costretti ad abbandonare i territori della Boemia e della Moravia, rinunciando ad ogni avere.

Questa migrazione di massa vide anche diversi episodi violenti e di giustizia sommaria, che furono oggetto di una amnistia post conflitto e di fatto restarono impuniti. 1,6 milioni di tedeschi furono trasferiti nella Germania sotto il controllo americano, circa 800 mila tedeschi vennero destinati alla Germania sotto il controllo sovietico, ulteriori decine di migliaia lasciarono i territori della Slesia, ed altre migliaia di persone vennero internate nei campi di lavoro.

Strettamente legati a questa annosa questione, vengono spesso citati i decreti del presidente Beneš, ossia quei decreti presidenziali emanati nel periodo 1945-1947, che tra le altre cose sancirono la confisca dei beni e l’espulsione dei tedeschi dalla zona dei Sudeti. I decreti riguardarono anche l’espulsione della minoranza magiara presente nella regione slovacca.

Nel 1950, la popolazione della Cecoslovacchia scese a 8,896 milioni di abitanti (sia per l’esodo della popolazione tedesca, sia perché i territori Ruteni ad Est che furono annessi all’URSS), suddivisa nelle seguenti etnie:

  • Cechi e slovacchi 8,6 milioni
  • Tedeschi 160 mila
  • Ungheresi 13 mila
  • Polacchi 71 mila
  • Ucraini, Ruteni 19 mila
  • Altre etnie 31 mila

Un rapido confronto con i dati del 1930 presentati in precedenza, evidenzia gli effetti della Seconda Guerra Mondiale e degli esodi conseguenti.

Ancora oggi si aprono talvolta discussioni sul merito dei decreti di Beneš e su quanto avvenuto negli anni dopoguerra, a conferma del fatto che le ferite di una guerra riguardano anche le generazioni future. Il neoeletto presidente Václav Havel effettuò il primo viaggio in Germania nel febbraio 1990, e pubblicamente ammise l’ingiustizia di quanto accaduto nel secondo dopoguerra, creando le basi per un riavvicinamento tra i popoli.

Categorie
Economia Politica Storia

Il grande furto nel nome del popolo lavoratore – la riforma monetaria del 1953 in Cecoslovacchia

Veder sparire quasi tutti i risparmi familiari di una vita in una sola notte, ritrovarsi a maneggiare nuovi tagli di denaro dal giorno successivo senza alcuna preparazione, non poter protestare nelle strade per questa ingiustizia… anche questo accadde nel dopoguerra cecoslovacco.

Scenari quasi impossibili da immaginare oggi, eppure accaddero davvero e la popolazione dovette adeguarsi per sopravvivere, forse memore dello grande spirito di adattamento avuto durante l’occupazione nazista.

Siamo nella Cecoslovacchia socialista nel pieno della crisi del dopoguerra, dopo che nel 1948 il regime comunista ha preso il sopravvento sui partiti democratici. Nel primo quinquennio della programmazione economica di partito si puntò molto all’industria pesante, tuttavia, l’economia stentava a ripartire e la popolazione aveva forti carenze di beni di prima necessità. Esisteva ancora un razionamento alimentare, continuavano ad essere utilizzate le carte annonarie, il mercato nero era molto diffuso con prezzi decisamente più elevati rispetto a quelli ufficiali, risultando di fatto fuori controllo.

Il debito statale era crescente, non solo per i debiti di guerra che continuavano a sussistere, ma anche per la notevole spesa pubblica che si stava sostenendo per la conversione dell’economia dal sistema capitalistico a quello socialista.

Nel maggio del 1953 si iniziarono a diffondere notizie su una possibile riforma monetaria che avrebbe portato a logorare i risparmi dei cittadini.

Per questo motivo, diversi negozi furono presi d´assalto con lunghe code, nel tentativo di spendere il „vecchio“ denaro, che a breve si sarebbe potuto svalutare.

Nemmeno l’intervento del presidente cecoslovacco Zapotocky, che assicurò la pubblica opinione che non sarebbe accaduto nulla pochi giorni della riforma, servì per placare gli animi. Le persone erano molto diffidenti, ed effettivamente non sbagliarono.

Il 30 maggio 1953, il Governo annunciò senza alcun preavviso l’introduzione della riforma monetaria a partire dal giorno successivo. Lo fece alle ore 17, dopo che i negozi, banche ed uffici erano già stati chiusi.

Retribuzioni, pensioni e prezzi furono ridotti d’ufficio nel rapporto 5 a 1 (ossia per 5 vecchie corone cecoslovacche, si otteneva una corona cecoslovacca nuova). La liquidità fino a 300 corone (lo stipendio medio si aggirava attorno alle 1.100 corone, giusto per avere idea del parametro) si poté cambiare secondo il rapporto 5 a 1, oltre questo ammontare, il rapporto passava per gradi fino ad arrivare al massimo di 50 a 1.

Sempre al cambio 50:1 fu destinato il denaro delle persone giuridiche che eccedeva le ultime retribuzioni saldate. Parimenti, furono di fatto annullati tutti i debiti di Stato ed altri strumenti finanziari emessi a partire dal 1945. I risparmi, le assicurazioni previdenziali e similari, furono cancellati definitivamente.

In macro-numeri, la liquidità totale disponibile sul mercato, fu mediamente cambiato secondo il rapporto 37:1. Il cambio della corona cecoslovacca fu ancorato al rublo russo, ritenuto molto più stabile.

La riforma monetaria fu presentata come una „vittoria del popolo lavoratore “, agli occhi di gran parte della pubblica opinione apparve tuttavia come un grande furto.

Il regime sancì il supporto delle milizie per mantenere l’ordine pubblico. Le proteste popolari furono prontamente stroncate con l’interventismo tipico delle forze di polizia. Pur essendoci un disaccordo diffuso, poche persone lo manifestarono apertamente. Prontamente furono imprigionate e malmenate.

Per effetto di questa riforma monetaria non annunciata e discussa in precedenza, il Fondo Monetario Internazionale arrivò ad espellere la Cecoslovacchia.

Questo fu l’ultimo passaggio che fece sparire definitivamente la borghesia imprenditrice, la fascia media tipica dei paesi capitalistici. L’intera nazione di fatto si impoverì, diverse fonti parlano di bancarotta dello Stato cecoslovacco.

Per riassumere quanto già scritto in precedenza tra le righe, la riforma monetaria del 1953 fu un passaggio indispensabile per portare l’economia ad un sistema socialista. I motivi principali furono:

  • Necessità di controllare la quantità di denaro sul mercato, per bloccare le spinte inflattive ed il mercato nero che aveva preso il sopravvento anche negli anni del dopoguerra. In generale, la paura degli economi comunisti, era che la gente utilizzasse i risparmi per acquistare i beni, anche di prima necessità, creando poi un grave problema sociale se tale merce, già scarseggiante, ad un tratto fosse sparita dal mercato.
  • Necessità di ridurre il debito statale. Una nota: non furono annullati i debiti internazionali, che comunque restavano in valuta, ma furono annullati i debiti interni.
  • Necessità di annientare definitivamente la media borghesia, che dal punto di vista politico rappresentava una spina nel fianco, viste le simpatie verso i sistemi capitalistici.

I risultati attesi furono raggiunti in maniera limitata.

il mercato nero – pur non essendo debellato del tutto – perse di importanza, tuttavia, la riforma monetaria non cancellò un innalzamento dei prezzi che continuò anche negli anni successivi, in particolare sui beni di prima necessità (in proporzione, si riusciva ad acquistare meno prodotto a parità di retribuzione confrontando gli anni antecedenti il 1953 e quelli successivi).

Il debito statale fu cancellato a discapito dei risparmiatori nazionali, tuttavia, da un punto di vista internazionale, la Cecoslovacchia perse di credibilità, spostandola sempre più sotto il baricentro sovietico.

La media borghesia imprenditoriale fu effettivamente debellata, oppure costretta a migrare, dall’altra parte, alcune figure di partito seppero approfittare di questa situazione per arricchirsi, e quindi creare le basi per l’oligarchia tipica dei regimi dittatoriali.

I politici comunisti si resero tuttavia conto che non potevano puntare solo su un’economia pesante ed industriale, ma dovevano spostare la produzione anche sui beni di consumo e soprattutto sui beni di prima necessità, per avere un sufficiente sostegno popolare. I piani quinquennali programmatici successivi non poterono fare a meno di tenere presente questi importanti aspetti.

Categorie
Politica Storia

Milada Horakova – una vita contro ogni totalitarismo

Tra le 234 vittime del regime comunista condannate alla pena di morte tra il 1948 ed il 1960, non si può non citare Milada Horáková, il simbolo di questa resistenza.

Milada Horákova fu una giurista e politica cecoslovacca, nata a Praga nel 1901, e giustiziata con la pena di morte nel 1950. Negli anni, anche a seguito della riabilitazione avvenuta nel 1990, divenne il simbolo della lotta ai soprusi ed alle ingiustizie dei regimi dittatoriali, nonostante le notevoli sofferenze fisiche e psicologiche che dovette affrontare nella sua vita.

Poco più che ventenne aderì al Partito socialista nazionale cecoslovacco, divenendo attivista nel campo dei diritti civili e dei diritti delle donne.

A seguito dell’occupazione del 1939, Milada divenne uno dei membri principali del movimento clandestino contrario alla occupazione tedesca. Imprigionata nel 1940 dalla Gestapo, venne dapprima condannata a morte, pena poi trasformata in ergastolo, e fu prigioniera in diverse carceri tedesche.

Terminata la guerra, riprese il suo importante ruolo politico nel 1945 occupandosi dell’assistenza ai rifugiati, ma nel 1948 si dimise dal parlamento a seguito della presa di potere del governo comunista, supportando le forze di opposizione e gli esilianti. Nel 1949 venne imprigionata dai servizi segreti e nel 1950 – dopo un processo farsa – fu condannata a morte per impiccagione.

A nulla valsero gli appelli internazionali anche di persone importanti per evitare la condanna di Milada Horakova che venne giustiziata il 27 giugno 1950.

In seguito, il 27 giugno venne designato dai cechi come Giornata della Memoria delle vittime del comunismo.

Il presidente Havel, nel 1990, le conferì in memoriam il più elevato grado di onorificenza, il titolo di primo grado dell´ordine di T.Garyk Masaryk.

Solo dopo la caduta del regime, nel 1990, vennero rese note le ultime lettere dal carcere di Milada alla famiglia, che oltre al saluto ai cari e amati famigliari, dimostrano la fermezza nei principi e la serenità nell’affrontare il suo triste destino, consapevole della sua coscienza cristallina.

“Sono umile e devota alla volontà di Dio. Ha ordinato questa prova per me, e io la supero con un desiderio: che io possa obbedire alle leggi di Dio e mantenere il mio nome con onore.

Non piangete! Non sospirate troppo! È meglio che una lenta morte. Il mio cuore non durerebbe a lungo senza libertà.

Gli uccelli si stanno già svegliando. Sta cominciando ad albeggiare. Andate nei prati e nei boschi. Vivete! Vivete!

Andate nel bosco di pini, guardate il bello e saremo insieme ovunque. Guardate le persone intorno a voi. Mi ritrovate in ognuno. Non sono disperata e impotente. Non sto giocando. È tutto così calmo in me perché ho pace nella mia coscienza.

La vostra, solo vostra Milada” (cit. https://www.totalita.cz/)

Categorie
Altre Storia

I giocattoli nella Cecoslovacchia comunista – anni 70/80

Forse per nostalgia, ispirato da un tweet e da alcune immagini accessibili sul web, ho provato a fare memoria di alcuni giocattoli tipici dell’era socialista e che mi sono rimasti impressi.

In effetti, avendo avuto la possibilità di vivere sia la realtà italiana – allora più occidentalizzata – e la realtà cecoslovacca, le mode in auge erano talvolta diverse, ed i sogni dei bambini, pur essendo simili, erano condizionati dal contesto in cui si viveva.

Sul mercato cecoslovacco, accedevano in via preferenziale i giocattoli prodotti nell’area di influenza sovietica, per cui era frequente anche ritrovare scritte in cirillico.

Erano in generale a buon mercato, ma l’offerta era limitata. Nei Tuzex – i negozi dedicati ai prodotti occidentali nei quali si poteva acquistare in valuta o tramite dei certificati denominati bony – si trovavano anche i giocattoli che venivano commercializzati in Italia (in primis le Barbie della Mattel ed i prodotti della Lego).1.

  1. Hockey

Considerato da molti come lo sport nazionale, visti anche i successi raccolti a livello internazionale dalla squadra cecoslovacca, – l’hockey su ghiaggio, aveva un chiaro riscontro anche nei giochi che tipicamente si regalavano nel periodo natalizio o per i compleanni. Penso che ogni bambino avesse la sua “hokejka” (il bastone – o mazza – per l’hockey su ghiaccio), i rigidi inverni conciliavano lunghe partite sia sul ghiaccio, sia sui piazzali dove non sempre si utilizzavano i pattini. La “hokejka” del portiere aveva la parte passa più larga, ma non consentiva l’agilità delle mazze più snelle per il gioco su tutto il campo.

Il “puk”, il disco in gomma vulcanizzata normalmente nero, era ovviamente un corredo indispensabile, così come anche i caschi ed i parastinchi.

Ogni bambino cecoslovacco aveva i suoi pattini, non solo per l’hockey, ma anche per il pattinaggio artistico e di velocità. Gli inverni allora erano molto più rigidi e gli stagni si ghiacciavano per diverse settimane nei mesi invernali. Naturalmente, poi esistevano le piste da pattinaggio ed i campi da hockey su ghiaccio.

Terminata la stagione invernale, l’hockey si trasformava poi in florbal, utilizzando la pallina e talvolta si utilizzavano anche i pattini a rotelle (successivamente anche i pattini in line).

Oltre agli attrezzi sportivi che erano il sogno di ogni bambino, esistevano giochi da tavolo dedicati all’hockey su ghiaccio. Alcuni era bellissimi, ed ancora oggi vengono commercializzati. Ricordo pomeriggi interi di sfide tra amici.

In Italia avevamo giochi simili legati allo sport nazionale italiano: il calcio. Oltre al calcio da tavolo, all’indimenticabile calcio balilla, negli anni Ottanta era molto diffuso il subbuteo.

In ogni caso, il gioco del calcio era comunque diffuso anche in Cecoslovacchia (nel ´76 la Cecoslovacchia vinse i campionati Europei) per cui sia il calcio da tavolo, che i palloni da calcio, che le scarpe con i tacchetti, erano anch’essi tipici regali per i bambini di allora.

2. Igráček

L’equivalente dei Playmobil fu molto popolare tra i bambini cecoslovacchi. Le professioni dei pupazzi rispecchiavano gli usi e costumi di allora: lo spazzacamino (“kominík”), il poliziotto della VB, l’infermiera, il cuoco, e così via.

Ancora oggi vengono prodotti e sono commercializzati, la loro produzione e diffusione rinacque qualche anno fa sulla spinta nostalgica degli anni che furono.

3. Le costruzioni meccaniche Merkur (stavabnice Merkur)

Credo che sia quasi impossibile trovare un bambino di quegli anni che non abbia avuto in regalo la costruzione meccanica Merkur. Ancora oggi questo marchio si trova nei negozi di giocattoli. In Italia avevamo un gioco del tutto analogo: il Meccano. Quanti futuri ingegneri sono nati su queste costruzioni!

4. Le bambole e le carrozzine

Mentre scrivo questo articolo, mi sto rendendo conto che non sono così ferrato su quello che preferivano le bambine, tuttavia, non sbaglio se menziono le bambole (prevalentemente sotto forma di neonati) e gli accessori relativi (le carrozzine, gli abiti, le loro camerette, gli attrezzi da cucina). Diverse famiglie cucivano artigianalmente gli abitini per le bambole.

Si trovavano anche svariati peluche, e nella seconda metà degli anni Ottanta si diffusero i Moncicci, che in Italia erano arrivati un paio di anni prima. Già allora, mi affascinava enormemente la talpa “Krtek”, personaggio dei cartoni animati ideato da Zdeněk Miler, che fu commercializzato anche in Italia.

5. I cubetti per le costruzioni „simil-lego“

Lego, il marchio ampiamente diffuso in occidente, giungeva in Cecoslovacchia solo nei Tuzex ed era considerato un prodotto esclusivo e pertanto anche caro. Localmente, tuttavia, si diffusero vari giocattoli che avevano lo stesso principio, cubetti colorati, con i quali costruire case.

Ho ricordi di questi „simil-lego“, dove si potevano incastrare anche le finestre e le porte. La qualità, tuttavia, era più scadente rispetto al classico lego, questo lo ricordo bene.

Una curiosità, Lego ha uno dei pochi stabilimenti esterni alla Danimarca, paese di origine, proprio in Repubblica Ceca nella città di Kladno.

6. Il paracadutista e gli aeroplani azionati ad elica

Il paracadutista scagliato con la fionda in alto, che atterra con il paracadute rappresentato da un sacchetto di plastica, veniva proposto in vari colori.

Diverse tipologie di aeroplani molto semplici nella costruzione, si basavano su un meccanismo ad elica ed elastico, e potevano volare per qualche secondo. Si trattava di un tipico regalo per bambini. Non ricordo che in Italia fossero così diffusi, per cui mi meravigliava sempre trovarli esposti nei negozi praghesi.

In generale, i giocattoli e libri legati al tema delle conquiste dello spazio, avevano una diffusione molto più grande in Cecoslovacchia, rispetto a quanto eravamo abituati in Italia.

7. I giocattoli in legno ed i giocattoli meccanici

La lavorazione del legno è sempre stata molto tradizionale in Cecoslovacchia. Pertanto, un tipico regalo era rappresentato dalle costruzioni in legno nelle più svariate forme.

Erano molto diffusi anche i giocattoli meccanici (automobili in latta a carica, camion, tram, autobus,  ….), ma il sogno di ogni bambino erano i c.d. „angličáky“, i modelli di auto occidentali, dove il marchio più ambito era certamente Matchbox.

Nei miei viaggi dall’Italia, specie in età preadolescenziale, acquistavo diversi modelli per i migliori amici e spesso diventavano oggetto di scambi.

Mentre in Italia si erano diffuse le auto telecomandate, quelle locali prevedevano sempre il filo elettrico. Nelle mie aspettative di bambino, il filo che doveva restare collegato, rappresentava un limite inaccettabile ed evidentemente i miei cari l’avevano notato: non ricevetti mai in dono questi giocattoli.

Le automobiline maggiormente diffuse in Cecoslovacchia erano le Skoda.

Un mito assoluto che occorre riconoscere ancora oggi, in quanto continua ad essere un must dei bambini dei giorni nostri che vivono in Repubblica Ceca ed anche in Slovacchia, sono i camion Tatra in plastica: resistenti, praticamente indistruttibili e compagni di ore e ore di giochi.

8. Il modellismo

Nei negozi cecoslovacchi degli anni 70- 80 erano molto diffusi i modellini di aerei, carrarmati, navi spaziali, che i bambini si potevano costruire pazientemente a casa. Tuttavia, ricordo la carenza di colori di qualità, per cui dall’Italia, mi venivano continuamente domandati i colori speciali per il modellismo, denominati Humbrol che in Cecoslovacchia erano merce rara.

Bambini e ragazzi, avevano la passione per i trenini elettrici e per le piste per le automobili da corsa. Esatamente come i coetanei italiani che avevano la Polistil e le piste Carrera, anche in Cecoslovacchia, il desiderio di ogni maschietto era avere la propria “autodráha”.

9. La koloběžka – il monopattino

Il monopattino era posseduto da tutti i bambini cecoslovacchi, ricordo bene il Natale in cui mi fu regalato. Si metteva in cantina, a volte succedeva che venissero rubati i modelli più nuovi.

In Italia non ricordo una tale passione per i monopattini. In Italia negli anni Settanta Ottanta avevamo il mito della bicicletta da cross, con varie personalizzazioni tra cui le selle allungate, le gomme da fuori strada e le marce. Non ricordo di averne mai vista una in Cecoslovacchia.

10. Il cubo di Rubik

Negli anni Ottanta, sia in Cecoslovacchia che in Italia si diffuse questo cubo magico ideato dall’ungherese Rubik. La diffusione fu pressoché contemporanea nei due paesi, questo perché essendo stato ideato in un paese dell’area del patto di Varsavia, non rappresentava un potenziale strumento di propaganda del mondo Occidentale.

11. I francobolli

Ricordo bene che quasi tutti i bambini e ragazzi collezionavano francobolli. Si acquistavano presso le tabaccherie in pacchetti che contenevano francobolli dei paesi dell’area socialista. Da piccolo io ero appassionato dei francobolli dedicati allo spazio” mi affascinavano i colori e queste immagini che spesso ritraevano date particolari. I francobolli cecoslovacchi, in generale, sono sempre stati molto belli e pregiati. Ancora oggi esistono molti collezionisti. In Italia, tra i ragazzini, questo hobby era molto meno diffuso.

12. I videogiochi

Come bambino cresciuto a cavallo tra gli anni 70/80, ho vissuto l’arrivo dei videogiochi con grande entusiasmo. In Cecoslovacchia, la diffusione fu molto più limitata, sia perché le consolle di videogiochi erano merce rara, ed inoltre avevano costi proibitivi. Nello stesso periodo trovarono diffusione anche i videogiochi tascabili. In Cecoslovacchia si diffusero i giochi tascabili prodotti in Unione Sovietica dal titolo “jen počkej zajíci” (in italiano “aspetta coniglio”) che vedevano come protagonista un lupo, impegnato in varie attività ludiche.

Si accettano suggerimenti per migliorare questo articolo!

Categorie
Storia Turismo

Praga presenta la statua di Maria Teresa d’Asburgo in localitá Hradčany

In occasione dell’anniversario dei 280 anni di nomina a sovrano dell’impero austro-ungarico, il comune di Praga 6, ha inaugurato in questi giorni la statua imponente dedicata alla regina Maria Teresa d´Austria nell’omonimo parco.

Realizzata dall’artista Jan Kovařík in collaborazione con l’architetto Jan Proksa, la statua é realizzata in polimeri speciali, pesa 7 tonnellate ed é alta 5 metri e mezzo.

L’immagine stilizzata é stata volutamente concepita per trasmettere all’osservatore la forte presenza della regina, che influenzó in modo rilevante lo scenario politico economico sociale del millesettecento, introducendo riforme illuminanti a favore della popolazione. Alcuni sostengono che abbia la forma di una pedina della scacchiera. Anche questo concetto lascia ampi spazi di interpretazione per il ruolo svolto dalla sovrana nell´ambito della politica europea.

I fratelli Kotek del Czech Institute of Informatics, Robotics and Cybernetics (CIIRC CTU) hanno realizzato una visualizzazione in 3D molto riuscita, che é visualizzabile al seguente cliccando qui.

Categorie
Storia

Praga ai tempi del Coronavirus

Si cammina come dei fantasmi, degli spiriti che nemmeno si vogliono guardare in faccia, ognuno assorto in un suo pensiero strano e incredulo – stammi lontano e non mi guardare – il respiro nella mascherina è pesante e affannoso.

A volte sembra che il tempo si sia fermato, al 12 marzo 2020, una beffarda storia di Kafka che si ripete continuamente e non trova fine.

Girando per le strade come un Hrabal senza birreria, in una delle sue frasi interminabili che girano e rimescolano, e ripartono dall’inizio.

Praga è surreale, in questo pomeriggio, che è sempre stato un giorno di festa, di turismo, di pomlázke e di uova colorate. Nulla di tutto questo, fatto salvo per i papaveri gialli in piazza San Venceslao.

Mentre le statue di Carlo IV e Jan Hus guardano il silenzio, dominato da San Venceslao sul cavallo, che nasconde la scritta „assieme ce la faremo“ sulla facciata appena ristrutturata del Museo nazionale, orgoglio di questa nazione e di questo popolo.

La piazza Staroměstské náměstí, con l’orologio astronomico di Mistr Hanuš, e la chiesa di Tyn sembra osservare il silenzio di tutte le attività commerciali inesorabilmente ferme e vuote – la via Pařižská che ricorda un post war dream.

Il ponte Carlo è vuoto, senza persona, sembrano appena passati gli Svedesi nella Guerra dei trent’anni, uno sguardo al Castello e alla cattedrale di San Vito dove sventola la bandiera ceca, la collina di Petřín si sta riempiendo di verde come ogni primavera, mentre dal lato opposto si vede una scritta “ce la faremo” sull´Hanavský pavilon, mentre dietro, il metronomo è fermo immobile sdraiato a sinistra… il tempo si è davvero fermato, quando riprenderà?

La Moldava mormora in sottofondo, l’atmosfera è cupa ed angosciante, grazie al cielo plumbeo di questa solitaria passeggiata che mi lascia tanto amaro in bocca e cupi pensieri praghesi.

Quando finirà tutto questo? E poi ci domanderemo … ma è potuto davvero succedere tutto questo?

Categorie
Storia

Céčka – il fenomeno che travolse i teenagers cecoslovacchi negli anni Ottanta

Ricordo che nell’estate dei primi anni Ottanta, arrivato dall’Italia per trascorrere il periodo estivo dai nonni, ritrovai i coetanei cecoslovacchi travolti dalla mania dei céčka, le piccole lettere (inizialmente le C, ma poi si aggiunsero anche altre lettere) in plastica, di svariati colori, che si incastravano tra loro. Non potei che adattarmi al fenomeno, iniziando una spasmodica ricerca di questa merce che allora era rarissima.

La “montagna” di céčka – un must degli anni Ottanta

Concepiti ancora negli anni 60, come catenella alla moda da abbinare alle minigonne, dopo un periodo iniziale di insuccesso, divennero improvvisamente un fenomeno moda negli anni Ottanta.

Possedere i céčka, possederne tanti, addirittura catene di svariati metri che producevano un suono di plastica simile ad un fruscio, era diventato uno status symbol tra i teenagers. Divenne anche merce di scambio tra i ragazzi, ed alcune letterine e colori rari, avevano un valore ovviamente maggiore.

Le catene di céčka

Si trattò di un fenomeno che rimase limitato ad un breve periodo di un paio di anni ma paradossalmente, pur in presenza di una economia socialista, la mancanza di prodotto in presenza di una domanda elevata portò alla nascita di vari produttori artigianali

Lo stesso Michal David – cantante ancora oggi molto famoso – che inizió la carriera negli anni ´80, ha una delle sue hit denominata „Céčka“, canzone dalla musica e dal testo diretto, che raccontano della ricerca dei céčka di negozio in negozio, ma vanamente, nonostante la disponibilità di denaro – con lo scopo di rendere felice la ragazza.

La hit anni Ottanta “Céčka” del cantante ceco Michal David